Vignettopoli
T.A.R.S.U. & Company
Recentemente, su qualsiasi quotidiano e in qualsiasi telegiornale, troneggiava un’affermazione del Ministro dell’Economia, Padoa Schioppa, che definiva le tasse con un aggettivo alquanto estemporaneo: BELLISSIME! Gli Italiani sono noti per tante cose: gli spaghetti, le città d’arte e la pizza. Ma, anche per altre, purtroppo: la mafia, un Governo con il maggior numero di esponenti al mondo e le tasse. Abbiamo così tante imposte che oramai, non ci chiediamo pi cosa stiamo pagando. Paghiamo e basta. Una tra le ultime, la “T.A.R.S.U.” Cari Lettori (e Contribuenti), quelle che noi chiamiamo comunemente “tasse” sono siglate in modo incomprensibile: paghiamo l’I.C.I., l’I.R.A.P., l’I.R.P.E.F. e via dicendo e ora anche la “T.A.R.S.U.”: ovvero, l’imposta per lo smaltimento dei rifiuti, come prevista dal Decreto Legislativo 22/1997 (successivamente modificato), pi comunemente noto come Decreto Ronchi. I Comuni italiani, privatamente, la applicano sulla base del costo totale che gli stessi debbono sostenere per il servizio di raccolta e successivo smaltimento dei nostri rifiuti e la calcolano sul parametro della superficie dei locali di abitazioni e di attività da cui gli stessi possono avere origine. Già da una sommaria lettura della definizione, possiamo, subito notare una certa dissonanza, tra quello che ci viene chiesto di corrispondere e quello che invece dobbiamo effettivamente pagare. Spieghiamo meglio. Se fossimo Silvio Berlusconi e ci potessimo permettere una mega villa da abitare in completa solitudine, perché dovremmo pagare la T.A.R.S.U. sulla scorta delle dimensioni della nostra dimora? La camera da letto, suite imperiale, di un albergo non ancora costruito non produce rifiuto! Una persona sola non si abbuffa per colmare i suoi vuoti e nemmeno per produrre la quantità di rifiuti necessaria per giustificare l’importo della T.A.R.S.U. Un “single” non si mette, dalla disperazione a gettare tutto ci che gli capita per le mani, pur di creare, quotidianamente, quel tanto di immondizia, necessaria, per far contento il proprio Sindaco.
Di contro, una famiglia di 6 componenti, con dimora in un monolocale di appena 60 metri quadrati paga, inevitabilmente, meno producendo, altrettanto inevitabilmente, una maggior quantità di rifiuto. A prescindere da tutto ci, noi cittadini, dovremmo essere contenti di pagare la T.A.R.S.U. perché stiamo dando un contributo e non solo economico, al nostro ambiente. Chi di noi non fa la “raccolta differenziata”? Chi di noi non si trova alle prese con tutti quei coloratissimi sacchettini che vanno riempiti, previa valutazione di ci che stiamo buttando in pattumiera? Raccolta differenziata, che per noi un impiccio in pi da svolgere, ma che per i Comuni un costo, di cui ci chiedono un contributo, la T.A.R.S.U. appunto e per l’ambiente una forma di salvaguardia e rispetto. Esistono due tipi di raccolta differenziata. Il primo, comporta l’inserimento sul suolo comunale di appositi e anti-estetici contenitori stradali affiancati ai tradizionali cassonetti. sicuramente meno oneroso in termini di T.A.R.S.U. ma, costringe il cittadino ad uno sforzo in pi: portare periodicamente i rifiuti nei luoghi adibiti, senza che la differenziazione subisca alcun controllo, concedendogli, quindi, la possibilità – nemmeno così remota – di “derogare” le regole di una corretta gestione degli scarti raccolti.
Il secondo, sicuramente pi comodo, ma certamente pi controllato ed oneroso, consiste nel raccogliere gli scarti della nostra vita quotidiana nei tanto colorati e famigerati sacchettini, che, la nettezza urbana, con cadenza settimanale ritira direttamente sotto la porta di casa nostra. Indipendentemente dal modo prescelto dai vari comuni, il rifiuto viene differenziato e, successivamente, destinato al riciclo come avviene per la carta, oppure al riutilizzo, come nel caso della plastica, oppure ancora, destinato alla biostabilizzazione, come accade per l’umido che, attraverso un complesso processo chimico viene trasformato in concime. Nell’ultimo trentennio, abbiamo assistito ad un crescente e proporzionale aumento, sia nei Paesi industrializzati, sia in quelli in via di sviluppo, della produzione dei rifiuti. Nella società del benessere, in cui ci troviamo a vivere, nonostante le varie sollecitazioni a diminuire le quantità di spazzatura prodotta, oramai, la politica quella “usalo una volta sola e, poi, buttalo in pattumiera”. In Italia, la produzione di rifiuti urbani continua ad essere in aumento. Secondo dati ufficiali del “Rapporto rifiuti 2004”, nell’anno 2003 la quantità di scarto generata si calcola approssimativamente in 30 milioni di tonnellate, ovvero, circa 524 chilogrammi ad abitante per anno. Di questa enorme quantità , per, il 15% (ovvero 4.500.000 tonnellate all’anno) non n riciclabile, n riutilizzabile in alcun modo. Questa parte di rifiuti, dove la andiamo a mettere? Che cosa ne facciamo? Attualmente viene destinata ai termovalorizzatori. Per, sempre pi spesso, si legge della polemica che suscitano questi tipi di impianto. Esponenti delle varie fazioni politiche prendono posizioni determinate, auspicando la chiusura degli inceneritori esistenti e impedendone la costruzione di nuovi. Ma perché?
Crediamo sia giunta l’ora di affrontare e chiarire il discorso. oramai divenuto indispensabile che chi urla questi “NO” agli inceneritori cominci a dare soluzioni alternative e realizzabili per risolvere il problema dei rifiuti. Problema che c’ ed esiste perché ciascuno di noi, nessuno escluso li produce. “Fautori del no!” perché sensibilizzarci sull’importanza della differenziata quando poi, ne comprendiamo solo in parte l’utilità ? Perché farci pagare un’imposta sulla raccolta differenziata e sul riciclo dei rifiuti quando poi, il problema, pur anche dimensionato, continua ad esserci? Infatti, quantità tutt’altro che irrisorie – secondo le convinzioni dei fautori del “NO!” ai termovalorizzatori – andrebbero, inevitabilmente ad ammucchiarsi, in ogni dove, creando, magari con tempistiche meno brevi, rispetto a quelle del “vecchio sacco nero” lo stesso problema. Ammassi di immondizia che non si sa bene dove andarle a mettere. Nelle discariche? Certamente no, perché oltre ad essere già stipate per gli ambientalisti inquinano le falde acquifere! Nei termovalorizzatori? Sia mai! I “verdi” li giudicano in modo pessimo, non solo perché deturpano l’ambiente, ma sono brutti da vedere, inquinano e fanno venire il cancro! S cari Lettori, rendiamoci conto che questi continui “no!” urlati, sono asettici. Vengono espressi in tutti i modi, persino attraverso personaggi di grande impatto mediatico come Beppe Grillo, ma rimangono l. Fanno un gran rumore e basta. troppo comodo continuare a dire no senza iniziare mai un discorso pi completo e soprattutto risolutivo del problema rifiuti, che, evidentemente non esclusivo della Regione Campania.
Chi non ricorda le immagini trasmesse al telegiornale la scorsa estate. Ambientalisti incalliti, con striscioni altisonanti “NO AGLI INCENERITORI”, sfilavano tra le vie di Napoli completamente inondate dai rifiuti. Erano “sommersi” dal problema, eppure, nonostante tutto gridavano “NO!” Tutta l’Europa ha accettato di buon grado la soluzione termovalorizzatori. Persino Beppe Grillo, in una delle sue “piazzate” ha ricordato come in Danimarca si incenerisca l’80% dei rifiuti. A Vienna il termovalorizzatore stato costruito in centro città ! I nostri concittadini europei non si pentono affatto delle scelte fatte, anzi hanno già nuovi progetti in corso per la realizzazione di altri impianti di incenerimento rifiuti! Non sono impazziti, ma sicuramente hanno compreso l’importanza dei termovalorizzatori, che evidentemente non sono così pericolosi per la salute pubblica e nemmeno così brutti da vedere! Hanno solo capito che con questi impianti concretamente impossibile che il pianeta diventi un’enorme discarica a cielo aperto. Pensiamo al Giappone, con quattromila abitanti per chilometro quadrato, se la minoranza dei “verdi” avesse la capacità italiana di influenzare le scelte politiche non esisterebbe già pi da qualche decennio!
Nessuno ci ha mai messo di fronte a un dato di fatto: questi impianti creano occupazione e non solo farebbero dell’Italia un Paese moderno al pari degli altri europei, ma risolverebbero, concretamente il problema dei rifiuti. Invece no! Noi li aborriamo e in pi paghiamo la T.A.R.S.U. in percentuale maggiore rispetto al resto d’Europa perché i nostri politici preferiscono vendere all’estero il rifiuto Made in Italy, costringendoci, inevitabilmente, a dare un contributo economico anche per il suo trasporto e, paradossalmente, lasciando l’Italia come “fanalino di coda” della tanto ambita Unione Europea. Ma perché noi italiani dobbiamo sempre accontentarci e pagare? A noi basta “un piatto di minestra” magari riscaldata, pur avendo la possibilità di permetterci, a minor prezzo, un bel piatto di spaghetti con la “pummarola in goppa”!
Che, questa volta, non abbia ragione Padoa Schioppa? Siamo proprio “bambascioni” indipendentemente dall’età!
- VIA
- Silvia Vimercati
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