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IL VELO DI MARMO
“C’era un uomo, di nome Giuseppe, che era membro del Consiglio, uomo giusto e buono, il quale non aveva acconsentito alla deliberazione e all’operato degli altri. Egli era di Arimatea, città della Giudea, e aspettava il regno di Dio.
Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. E, trattolo giù dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo mise in una tomba scavata nella roccia, dove nessuno era ancora stato deposto.” (Luca 23, 50-53)
JOSEPH NEAP. SANMARTINO FECIT 1753
“Giuseppe Napoletano Sanmartino fece nel 1753”. La fece in tre mesi, per cinquecento ducati, la più bella e sconcertante scultura del barocco napoletano. Si narra che Antonio Canova fosse disposto a pagare qualsiasi prezzo pur di possederla e che la studiò nei minimi dettagli mentre progettava quel suo capolavoro che mai venne alla luce, la sua Pietà per la Basilica di San Pietro; si dice che alcuni stranieri nel 1880 offrissero per essa oltre venti milioni di lire; sembra addirittura che altri avessero proposto di pesarla e di dare in cambio un peso equivalente in zecchini d’oro.
Su di un blocco di porfido poggia una lastra di marmo nero, e su di essa è disteso un corpo nudo, esanime, avvolto interamente in un sudario: il capo, appena reclinato sulla destra, è abbandonato su due alti cuscini impreziositi da delle nappe; l’ossuto braccio destro è disteso lungo il corpo, mentre il sinistro si poggia sul ventre incavato e denutrito; accanto alle gambe torturate sono disposti con ordine una corona di spine, dei chiodi, una tenaglia. Al di sotto del velo che lo copre, impalpabile, tutto piegoline, candido e fresco, appare un corpo martoriato, il volto sfigurato dal dolore con il nervo trigemino ingrossato, il torace solcato dallo sterno e le costole, i muscoli e le vene evidenti sotto le membra, il costato segnato da una piaga profonda, mani e piedi lacerati. E’ il simulacro, in un pallido marmo paglierino, di Gesù Cristo appena deposto dalla Croce, coperto dalla Sindone e con accanto alcuni simboli del martirio.
Il bozzetto di quest’opera incredibile, che realizza a pieno quell’intento di stupire tipico di tutto il Barocco, porta però la firma di un altro artista: Antonio Corradini (1668-1752). Corradini era un veneto, originario di Este, in provincia di Padova; iniziò la sua attività artistica oltre i quarant’anni, ma grazie alla sua velocità di esecuzione la sua produzione fu molto feconda; scultore a Vienna di Carlo VI d’Austria e a Postdam di Federico il Grande, giunse a Napoli nel 1750 circa, e qui morì nel 1752. Nei due anni trascorsi nella città partenopea realizzò “trentasei bozzetti di creta cotta”: trentacinque sono andati dispersi, l’unico rimasto è proprio questo del “Cristo Velato”, ancora oggi conservato al Museo San Martino di Napoli.
Da questo bozzetto Giuseppe Sanmartino (1720-1793) trae la sua statua, attenendosi all’iconografia prestabilita, ma trasponendo l’immagine ancora classicista di Corradini in un naturalismo impressionante. Non solo: mentre nel bozzetto del veneto ancora c’è una separazione fra il sudario e il corpo, e quel che risulta è un panneggio più pesante, sotto il quale si intravedono a tratti e un po’ a fatica i lineamenti del Cristo, nell’opera del napoletano non c’è più una netta distinzione fra il corpo e il velo, anzi la carne si confonde e si disfa nel sudario lieve, che non nasconde nessun dettaglio della figura, né del viso, né del fisico. Le palpebre, il naso, la bocca, i capelli, le singole dita, le unghie, le ossa e le vene in evidenza, tutto appare al di sotto della Sindone, in una maniera che sa di prodigioso.
Ma questo velo così perfetto da sembrare reale, sottile, trasparente perfino, è davvero stato semplicemente il prodotto della maestria di un artista che durante tutto l’arco della sua attività si dedicò a modellare “pastori” per presepi napoletani, ma che con quest’opera “mostrò che se è impossibile superare il greco scalpello, fu però agevole allo scultor napoletano imitarlo”, come scrissero i suoi contemporanei? O è stato creato magicamente, come pensava il popolo, dal sortilegio di qualche “ianara”? O, ancor più incredibilmente, è il risultato di una misteriosa invenzione scientifica?
ARTE O ARTIFICIO?
Tutto il mistero che ruota attorno al “Cristo Velato” di Sanmartino è spiegato in parte dalla collocazione di quest’opera: essa è al centro della chiesa di Santa Maria della Pietà, o Pietatella, la cappella privata di Raimondo de Sangro, principe di Sansevero, committente della scultura. In realtà, secondo il progetto originario di Raimondo, il Cristo doveva essere posto al centro del tempietto sotterraneo annesso alla chiesa, con due “lampade perpetue” (un’invenzione del Principe alchimista), una vicina al capo e un’altra vicina ai piedi della statua: non essendo mai stato ultimato il tempietto, il Cristo fu sistemato nella chiesa, prima nella fiancata sinistra, e poi davanti all’altare maggiore, dove si trova ancora.
La figura di Raimondo de Sangro (Torremaggiore, 30 gennaio 1710- Napoli 22 marzo 1771) è sempre stata circondata da un’aura leggendaria, derivante sicuramente da quella visione settecentesca degli esperimenti chimici e delle invenzioni tecniche ancora confuse con la magia: sebbene molte delle innovazioni e scoperte del Principe sono state nel corso degli anni riportate in un ambito scientifico, dagli straordinari fuochi pirotecnici al tessuto impermeabile, dalla seta vegetale a nuovi prodotti medicinali, dal carbone sintetico al falso argento, alcune di esse ancora sono considerate delle “stregonerie”; fra di esse quel processo di marmorizzazione tramite il quale leggenda vuole che Raimondo abbia trasformato in marmo un velo di stoffa posto su un corpo del Cristo scolpito dal Sanmartino.
E’ certo che il Principe sapesse far penetrare dentro al marmo, specialmente quello di Carrara, una colorazione che rendeva la pietra tanto resistente da poterla ridurre ad una sottigliezza fino ad allora mai vista, ricavandone così dei manufatti simili a merletti, dotati di una particolare iridescenza: di questa lavorazione sappiamo solo che era ottenuta “con niuna spezie di scarpello, o di bulino, sì perché il Marmo non potrebbe ridursi a quella così grande sottigliezza, sì ancora perché salterebbe in iscaglie, senza potersi terminare alcun lavoro”. Ma c’è un altro indizio molto più significativo: in un contratto fra lo scultore e il Principe, trovato presso l’Archivio Notarile Distrettuale di Napoli dalla giornalista Clara Miccinelli, risulta che Raimondo, commissionata la realizzazione scultorea del solo corpo al Sanmartino, si prendesse carico di fornire egli stesso la Sindone con cui sarebbe poi stato coperto.
La scoperta di questo documento risale a diversi anni fa, ma da allora non sono seguite né smentite né conferme. Mentre l’ipotesi della Miccinelli che anche i gruppi scultorei del “Disinganno” e della “Pudicizia”, realizzati dal Corradini sempre per la Cappella Sansevero, abbiano subito lo stesso trattamento (anche la Pudicizia, ovvero sia il ritratto di Cecilia Gaetani, madre del Principe, è coperta da un velo, mentre il Disinganno, che ha le sembianze del padre di Raimondo, Antonio, è avvolto in una rete), è stata contraddetta dalla presenza di altri simulacri dal volto coperto dello scultore estense a Venezia, a Dresda e a Roma, sul “Cristo velato” non è stata aggiunta nessuna parola.
Incantati dallo perfezione della statua, abbiamo la certezza di essere di fronte al prodotto di un genio: ma che sia quello inventivo dello scienziato o quello creativo dell’artista questo rimane ancora un mistero.
Foto Velia Viti
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