Vignettopoli
Che cosa è la poesia?
La poesia è una cosa? E’ “una” cosa o è una pluralità di cose? Esiste “la” poesia o ci sono tante poesie, o poetiche, quanti sono i poeti? I poeti sono tali solo quando scrivono poesie o rimangono, comunque, tali, anche quando scrivono in “prosa”? Che cosa significa “essere” poeta? Queste sono alcune delle domande che ci vengono incontro pensando alla poesia. Certamente ce ne sono altre, ma noi ci accontentiamo di tentare di rispondere a queste. Per fare questo ci rifaremo “materialmente” ai sei volumi della collana “minima poetica” dell’editore L’Orecchio di Van Gogh, di Falconara, usciti tra il 2007 e il 2009. Ma prima faremo una riflessione “filosofica” sulla poesia. Spesso chi scrive poesie scrive testi, per lo più brevi, almeno in tempi “moderni”, a partire dall’inizio dell’ultimo secolo. Le poesie, allora, si presentano come piccoli frammenti, compiuti, conclusi, in se, ciascuna, un piccolo mondo di parole. Accade così che la poesia scritte da un “autore”, messe l’una accanto all’altra, appaiono, si presentano, sotto la forma di una raccolta, quasi un “collage”. Per non parlare delle “antologie”, in cui stanno accanto poesie scritte da autori differenti. Eppure, a volte, è più facile incontrare una certa continuità “tematica” in un’antologia piuttosto che in una silloge di un singolo autore. Infatti; non sempre chi scrive poesie, specie all’inizio della pratica, è in possesso di una “poetica”!
Come potremmo definire una poetica? Essa è il “manifesto programmatico” di un artista?
E’ noto che di poetica si parla anche al di là dell’ambito della poesia. A noi, qui, tuttavia, interesse solo questo campo. La poetica, per un poeta, è un poco come il suo faro, l’indice dei pensieri che punta il bersaglio di contenuti verso il quale si dirige il poeta. Potremmo, anche, chiamarla l’ispirazione sua. Ma l’ispirazione non è ancora poetica, giacché potremmo intendere questa come lo stimolo a scrivere le parole che vengono in mente al poeta, le immagini. Alla poetica appartiene un grado di consapevolezza e anche di scelta dei temi che il poeta andrà a trattare molto più esteso rispetto a quello della semplice ispirazione. Non è poeta autentico, in senso “classico” colui che si limitasse a scrivere solamente i pensieri lirici che gli passano per la testa.
Un poeta è tale, allora, solo quando ha una sua poetica. Per questo è necessario che l’autore prenda “coscienza” della complessità dei suoi pensieri poetici e individui in essi i temi che alla sua produzione danno una loro “forma. E’ questa consapevolezza, fatta di comprensione dei propri indirizzi immaginativi e di selezione delle parole e delle immagini nel “magma” dei versi, che fa emergere lo “stile”. E, certamente, lo stile, ovvero il proprio “marchio”, indice di riconoscimento in un testo della personalità di un poeta, è quanto di più difficile ci sia da raggiungere nel “mestiere “ di poeta, o di artista in generale. Una volta raggiunto, lo stile non “sta”, ma è in continuo movimento di cosiddetto affinamento. E’ attorno allo stile, ovvero alla poetica, che il poeta lavora, ormai, più che sull’insieme delle immagini e delle parole che il suo temperamento creativo gli procura. Potremmo dire, secondo l’etimologia della parola, che lo stile “incide” sul testo, per quanto riguarda, in primo luogo, la sua sonorità, le assonanze, l’accostamento dei termini e il costrutto delle frasi; mentre, la poetica “incide”, ancora, per quello che riguarda i contenuti, i pensieri, le parole, ancora, ma non tanto nella loro componente di significanza, quanto per quella di significato. Stile e poetica, allora, formano quella che è la “fotografia” di identificazione di un insieme poetico, o letterario o artistico.
Abbiamo riflettuto, dunque, sulla poesia nella sua manifestazione. Raccogliamo, ora, qui, un aspetto, in apparenza secondario del fare poetico. Esso ci è suggerito da Jacques Derrida in un suo testo intitolato, appunto, “Che cosa è la poesia?” (in Points de suspension. Galilée, Paris, 1992, pg 303 sgg). Si tratta di affrontare la poesia, non più dal lato dell’autore, bensì da quello del “fruitore”, o recettore: lettore o attore. Il punto su cui insiste J Derrida, qui, riguarda il fatto che la poesia, rispetto alla “prosa” per semplificare, debba essere imparata “par coeur”. Questa espressione idiomatica francese, quasi intraducibile, noi la rendiamo, in italiano, con: “attraverso il cuore” mentre andrebbe tradotta correntemente con l’espressione “a memoria”. Concentriamoci sull’espressione francese nella modalità da noi tradotta. La poesia va imparata; dunque, non va semplicemente letta.
Chiunque legga una poesia fa l’esperienza che essa va letta e riletta più volte perché, anche la più elementare, spesso non rimane immediatamente comprensibile, intelligibile. Si tratta di “imparare” la poesia; imparare significa impadronirsi, fare proprio, acquisire, assimilare. La poesia, nell’apprendimento non scivola via, ma viene trattenuta. Rispetto alla prosa, che pure ha anche essa una sua capacità di apprendimento, la poesia tende ad essere stabilizzata nella memoria del lettore. Per rimanere, essa tende ad essere ripetuta, e dunque replicata, recitata. Per questo potremmo dire che, al limite, ogni lettore di poesia tende ad essere un attore, ovvero un recitante. Ma l’apprendimento della poesia, essendo “naturalmente” oggetto di replica, di recita, appartiene alla sfera del ricordo, ovvero della memoria. Ogni poesia tende ad essere memorizzata. Ma ciò non accade per un procedimento di meccanica mnemotecnica. Prima ancora di essere fissata nella memoria, la poesia subisce un procedimento di “fissaggio” che passa dall’assimilazione da parte dell’intelletto. Ma, ancora una volta, anche se in modo non esclusivo, rispetto alla prosa, la poesia “parla” alle emozioni del lettore, al suo “cuore”. E’ il “cuore” che sente e “legge” le immagini, le metafore e i costrutti lessicali che la poesia contiene. E’ nel “cuore” che la poesia si da la memoria; le impressioni, le emozioni incidono nel “cuore”, fissano il “senso”, nel significato “carnale” della parola, nei sensi, e fissandosi si lasciano ripetere. Allora, la poesia va imparata a memoria. Era, ciò, ben saputo, fin dai tempi più remoti quando esistevano gli “aedi”, i cantori, che recitavano, a memoria, nelle piazze e per le platee i grandi canti dei poemi epici e cavallereschi. Oggi, noi, riporteremo, qui, in un florilegio, i versi di sei poeti, tutti appartenenti alla collana “Minima poetica” dell’editore L’Orecchio di Van Gogh, come un invito alla loro lettura, ma soprattutto come un invito a “ricordare” alcuni loro versi che andranno, qui, a costituire, proprio, sulla base del proposito di impararli “par coeur”, come un “collage” un montaggio, antologico, da cui emerga un filo conduttore che lasci risuonare alcuni temi di “fondo” che avranno suggestionato il nostro ascolto:
“nel campo mezzo/Grigio mezzo nero/ Di Van gogh/Torna/Un amico che pare/ Dimenticato (Francesco Gemini)
Darò a Picasso /Ciò che gli spetta (Francesco Gemini)
Uscito da un portone/Con tutto il mio scontento,/sognai la vita vera/quasi un primo appuntamento. (Paolo bartolini)
Mi manchi, /qualunque cosa faccia./Anche qui, ora,/tra le mie braccia. (Paolo Bartolini).
Nella nebbia della vita/Il tuo volto./Immagine sacra/Per me soltanto/Si definisce. (Daniela Matteucci)
Sono protetta/ Dal cancello delle tue parole./ Sconfinate/Come la tua assenza.(Daniela Matteucci)
“Tuttu/Mo tene/Nu sensu”…. [Tutto/Ora tiene/Un senso….] (Carmela Nastro)
Cumu ‘a luna/Foculia/‘a notte…/Foculia/E sensi mije…./[Come la luna/Affuoca/La notte/Affuoca/I sensi miei…[Carmela Nastro)
Un’ultima domanda,/l’estremo tentativo/di risvegliare un verso/dal vuoto di memoria. (Gianluca D’Annibali)
“Hanno di queste pause il tempo e il mare” [Mari Luzi (“Il tempo e il mare hanno di queste pause”)] Gianluca D’Annibali).
In italiano/Sgubavo fori tema/Me ce purtava le parole/La lingua stessa./In che dialetto se more/ Prufesoressa? (Fabio Maria Serpilli)
E se vergogna pure el mare …………./ Semo morti per davero/Ma perché dispero, di/ Spero? / Cugio e rompo/Le parole/Finché se pòle….(Fabio Maria Serpilli)
Questa breve scelta, totalmente e dunque giustificata, arbitraria, sembra lasciar intendere, che un tema accomuna, in fondo, i nostri poeti; che la poesia è, nella ricerca della parola, la ricerca dell’altro- non arriviamo a dire dell’Altro-, e l’altro è l’incontro inesauribile di una presenza mai definitiva ma garantita, che si fa presente proprio nell’assenza, come l’infaticabile ricerca della parola poetica, della forma dello stile di cui abbiamo cercato il senso nelle nostre riflessioni.
Dunque, perché non imparare “par coeur”, pescando in questa “minima poetica”, che è tutt’altro che “minore”? Buona lettura, la sua, al lettore, “par coeur”, dal cuore.
- VIA
- Roberto Borghesi