Vignettopoli
IL CIACK DELLE ANALISI
Edizioni Il Formichiere, Milano, 1979. Insomma, questo libro è prima di tutto un testo che va letto secondo una certa modalità; e almeno due volte. La prima volta, esso va letto, magari a letto, o sul divano, alla luce di una lampada, con le persiane socchiuse, o di sera. In questa prima volta, non è necessario, secondo noi, assistere alla proiezione preventiva delle pellicole citate, che ci si procura in cineteca.
Poiché, ripetiamo, si tratta di un libro che ha a che fare con una certa cecità, il non avere visto prima i film in oggetto non preclude affatto il piacere della sua lettura. Anzi; essendo un libro di “analisi”-e sappiamo come la psicoanalisi abbia a che fare con il genere “giallo”-la concentrazione sulla “lettura” che l’autrice propone dei vari “soggetti” sarà maggiore, e meno catturata dalla frenesia, da parte del lettore di andare a confrontare, a “verificare” sullo schermo la correttezza della interpretazione. Dunque, si tratterà di leggere, per la prima volta, questo libro, come se esso trattasse di “personaggi” letterari, di “finzione”, di letteratura. Non si può dimenticare che, strutturalmente, un film passa prima del “girato” attraverso la fase della sceneggiatura; e qui, spesso, l'”autore” è più di uno. Non va dimenticato. E, in effetti, il “soggetto” preso in analisi dall’autrice, qui, è sempre un soggetto di “finzione”, un soggetto “montato” in quanto tale esso si rivela, allora come mai “piatto”, semplice.
La molteplicità, la poliedricità, come quella degli specchi, è una caratteristica delle “persone” analizzate dall’autrice. “Persone”, dicevamo; il termine allude alla maschera. L’autrice, per condurre il suo discorso analitico, raccoglie nove esempi di “persone”. E ciascuna non è semplice. La psicoanalisi è appunto contemporanea del cinema, e ad esso affine, come ci illustra magistralmente il libro di C.C.I.A.A. perché la nostra modernità è il tempo della complessità. Di una persona vi è sempre più di uno “spettro” (intendendo qui il termine innanzi tutto nel suo valore di “immagine, di ombra, di spettrografia). E la modernità, come scrive J Derrida, è il tempo degli spettri. Non a caso il libro di cui ci occupiamo si apre con lo studio del film di A. Hitchcock, Vertigo, felicemente intitolato in italiano “La donna che visse due volte”. In effetti, chi vorrà avvicinarsi, alla teoria dello spettro di J Derrida, avrà un buon approccio grazie alla visione di questo film e alla sua interpretazione. D’altra parte, N E Zarabara scrive ancora di fantasmi; a pagina 22, a proposito dell’esperienza che Cecilia, la protagonista de “La rosa purpurea del Cairo”, fa, e sostiene:”Non esistono compromessi di ogni sorta. Due sono le realtà costantemente in contrapposizione: la realtà egli esseri viventi e la realtà dei fantasmi”. Ora, il problema, qui è che questa tesi è sostenuta senza che si possa avere la certezza assoluta di “chi”, la sostiene; in effetti, essa può essere espressa da più di una “voce”: dall’autrice del libro, certamente, ma anche da Cecilia, che arriva a questa conclusione, ma anche dal regista che lascia intendere questa conclusione….Da Freud? Nell’analisi di questo film, che la stessa autrice confessa di amare molto, ella scrive ancora, a pg.28″. La Cecilia ingenua ha forse appreso che i personaggi della fantasia appartengono al modo dell’immaginario e li devono rimanere? Optare per Tom significherebbe alterare un equilibrio già da tempo collaudato che, come si vede nel film, assicura delle garanzie e dei privilegi solo ai fantasmi della pellicola, ma non agli esseri umani”. Dunque, questo libro è un libro che si fonda su di una “etica” inattuale. Esso è una critica appassionata, proprio perché innamorata dell’oggetto di cui tratta, alla società dello spettacolo dei nostri giorni, in cui la logica del facile successo televisivo e cinematografico spinge folle di spettatori ad immedesimarsi nei “finti” personaggi di successo che percorrono le passerelle dei Talk show: Scriveva W. Benjamin: “Così l’attualità cinematografica fornisce a ciascuno la possibilità di trasformarsi da passante in comparsa cinematografica…
Ogni uomo contemporaneo può avanzare la pretesa di venire filmato” (op.citata, pg. 35). Non così è per la psicoanalisi; e per fortuna! Essa può, come accade nel appassionato e appassionante libro oggetto della nostra lettura, occuparsi di “personaggi” e di “persone”; ma nella realtà non tutti sono “chiamati” a intraprendere un percorso di analisi. Giacché esso sceglie, comunque, i suoi “soggetti” tra i “pazienti”; dunque, con chi è disposto a confrontarsi con la sofferenza-e tutti i personaggi proposti in analisi in questo libro sono personaggi “in sofferenza”–. Con chi ancora oggi voglia incontrarsi con l’amore. E scrive appunto l’autrice; “…la difficoltà di amare e di entrare in contatto con l’anima del partner, un problema che affligge la società contemporanea”.(pg. 53). Scriveva Roland Barthes, nel bellissimo “Frammenti di un discorso amoroso”, un libro “montato”come un film:”La necessità di questo libro deriva dalla considerazione seguente: che il discorso amoroso è oggi di un’estrema solitudine.Questo discorso è forse parlato da migliaia di soggetti (chi lo sa?), ma non è sostenuto da nessuno…” (R Barthes. Fragments d’un discours amoureux. Seuil, Parigi, 1977, pg. 5). Il libro di N E Zarabara si affianca dunque a questo libro. Entrambi trattano d’amore, e entrambi trattano di psicoanalisi; giacché se si vuole “trattare” d’amore, oggi, nella civiltà dei media, non si può prescindere dalla psicoanalisi. E dai fantasmi dunque. Infatti, scrive l’autrice, ancora:”Nella vicenda noir raccontata da Mamet, la psichiatra Margaret Ford riattualizza i propri fantasmi specchiandosi nelle problematiche dei suoi pazienti”(pg.61). Definizione secondo J. Derrida, dei fantasmi: ” il rispetto per gli altri che non sono più o per quegli altri che non sono ancora qui….”(Spectres de Marx. Galilée, Parigi, 1993, pg.15). Questi sono i “nostri fantasmi”, che ci reclamano a una responsabilità, in un mondo in cui tuttavia i medias tendono a rendere “spettrale” la presenza attuale delle persone. In effetti, il problema è di salvare comunque la “difficoltà di amare” dal pericolo della indifferenza e del vuoto interiore che i media impongono. Là non potrebbe più arrivare nemmeno la psicoanalisi e si avvererebbe la profezia di Benjamin; saremmo allora, un mondo pieno di “attori”, senza più ormai spettatori, e dunque sognatori. A questo punto, si potrà effettuare la seconda lettura di questo libro intrigante; dopo avere fatto la scorta delle pellicole citate, dopo avere riassaporato il gusto di mettersi in poltrona e guardare il film, ma con queste lenti, appunto confezionate per noi, “ciechi”, per “leggere”, questa volta il film con l’amore che esso richiede. Perché, come diceva F Fellini:”Forse il film è u po’ questo: il lavoro fatto con l’abilità e la leggerezza dei giocolieri” (Block-Notes di un regista. Longanesi, Milano, 1988, pg.69). Supponiamo che S.Freud amasse il circo. Dopo tutto, il gioco del Fort/Da descritto in “Al di là del principio di piacere”, non è un piccolo numero da circo? Ora, pare che S.Freud, non amasse il cinema; ma sua figlia, sì, senza dubbio. Che non lo amasse, secondo noi, non significa che lo negasse, lo rifiutasse; probabilmente egli intuiva tutti i rischi che questa nuova “arte” conteneva nella formazione del pubblico. In ogni caso e per fortuna, il libro di N.E. Zarabara dimostra come siano felici le disobbedienze al padre; d’altra parte disobbedisce solo colui che conosce bene la regola alla quale si oppone. Dunque N E Zarabara conosce bene sia la psicoanalisi, la regola, sia il cinema, la disobbedienza; e il suo libro lo dimostra. Infatti, il libro si conclude con una bibliografia, specialistica, che è un generoso in invito finale al lettore di questo libro a non fermarsi all’ultima pagina, ma a proseguire questo ” gioco” tenendosi a portata di mano questo “manuale” dello spettatore.(anche se appare evidente che qui l’autodidatta rimarrà comunque entro certi limiti). E per concludere; dicevamo che Freud risultava essere stato piuttosto severo verso la nascente “decima musa”. Ora, il “fumetto” della copertina di questo libro, ritrae un signore, in una bolla, una nuvoletta, che rimanda nei tratti all’austero dott. S.Freud. Tuttavia, qui, il nostro signore sorride, e non solo, in più, sembra strizzare l’occhio, quasi fosse semi-cieco. Ed indossa uno smoking, come se partecipasse ad una cerimonia-una premiazione ad un Oscar?-. Dunque, questo signor Freud ha un’aria “complice”, quasi avesse assunto l’atteggiamento di un padre, che sotto la maschera burbera lascia trasparire un compiaciuto consenso. Dunque il libro è promosso, perché è un libro serio, sebbene tratti una materia che non ha il riconoscimento accademico e istituzionale. Ma il signor Freud tre volte ammicca ed è pronto, nel suo costume, per la premiazione. Noi siamo in platea ed applaudiamo.