Il Lettorante
“Pour l’amour de Roland Barthes”.
Tenteremo qui un suo ricordo, limitandoci a una rilettura, parziale, di alcuni suoi testi: Lezione, IL Piacere del testo, Frammenti di un discorso amoroso. In effetti, il migliore contributo che si può offrire alla sua memoria è quello di confrontarsi, ancora una volta, con i suoi scritti.
Scrive Barthes, nella Lezione inaugurale al College de France, definendosi un “soggetto indefinibile”. Già questa espressione è una “provocazione”, gentile, elegante, ma ferma. Egli è stato chiamato da un’istituzione, la quale è formata da uomini di “scienza”, da “soggetti” abituati alla classificazione e dunque alle “definizioni”. Con questa espressione Barthes esprime due posizioni; la prima, che egli non intende collocarsi in una posizione consueta di uomo della conoscenza e della ricerca, la seconda, che, non solo egli non praticherà una disciplina di consueta pratica “definitoria”, ma che egli stesso non è definito, non è “definitivo”. Questa affermazione non è né un vezzo, né una rivendicazione altezzosa di autonomia.
Fin dall’inizio, Barthes centra il lavoro che lo attende su di una posizione eccentrica rispetto al “potere”, tema acutamente privilegiato nel suo lavoro. Egli, dunque, colloca la sua “analisi”-“devo anche riconoscere di avere prodotto solo delle opere di saggistica, genere ambiguo in cui la scrittura si misura con l’analisi”- comunque, in un orizzonte di impegno “politico”, nel senso in cui la politica non va intesa come una tecnica di partito, ma come un’esigenza primaria di agire sempre “dentro” alla comunità.
Barthes, dunque, si ritaglia, con grazia ma con fermezza, una “posizione”, nell’istituzione prestigiosa, dove “l’invenzione [è] disciplinata”, di “un soggetto impuro”.
E’ paradossale che Barthes scriva questo, quando qualsiasi suo lettore può avere netta l’impressione di come, sempre, Barthes ricerchi la chiarezza, di come la sua scrittura sia sempre formalmente chiara, rigorosa, “fine” per dirla con Pascal. E allora, dove sta l’”impurità”, che cosa è che ne fa “impuro” il soggetto? E’ Barthes stesso che ci suggerisce la risposta. Questa ha un nome; “gioia”. Roland Barthes è un “intellettuale” che ha soprattutto coltivato e inteso il suo lavoro come un’occasione di “gioia”, dunque come una pratica fondamentalmente soggettiva, personale, secondo il suo “gusto”. Perché, in effetti, è stato una persona che ha sempre saputo muoversi, dentro alle istituzioni, piegando queste e le loro strutture alla propria “simpatia”. E, infatti, egli rimarca come entrare al College de France sia per lui una “gioia” in quanto reputa tale istituzione un luogo privilegiato perché egli qui può “sognare ad alta voce la propria ricerca”, una ricerca, di cui egli è ben consapevole che non sarà radicalmente estranea al “potere”, ma che potrà comunque e dovrà conservare tutta la propria “impurità”, andando a contaminare quel luogo stesso che lo accoglie. Ed ecco che cosa è questa “impurità” rispetto all’insegnamento che va inaugurando: ” liberarsi da ogni forma di volere-prendere”.
Il “volere-prendere “; espressione che indica il farsi avanti, il cercare di afferrare, di catturare, in cui la volontà ha una posizione “egocentrica”, aggressiva. Potemmo scrivere; “volontà di potenza”. Barthes, enuclea con semplicità una posizione filosofica radicalmente eccentrica a tutta una sua storia che si potrebbe riassumere con la parola “intenzionalità”.E’ il soggetto “intenzionato”, che si dirige “verso” il mondo, per afferrarlo e dominarlo, che è stato al centro della riflessione filosofica fino ad oggi. Ebbene, Barthes termina proprio il suo “Frammenti di un discorso amoroso” con una riflessione sul “voler-prendere”, in cui compare il verbo “abbandonare”. E’ questo un tema centrale nella riflessione contemporanea, almeno in Francia, a partire, per esempio, da Jean-Luc Nancy, risalendo a M Heidegger.
Allora, potremmo scrivere che colui che si instaurato sulla cattedra del College de France, in quel 1977, era un soggetto “impuro” in quanto un soggetto “in abbandono”, in senso sia attivo che passivo del termine. E come mantenere una posizione di “abbandono” senza subire un’angosciosa privazione? Barthes lo suggerisce al termine della sua lezione: ” …io devo periodicamente rinascere, farmi più giovane di quello che sono…”. La giovinezza è ben il tempo dell’accoglienza dell’avvenire, dell’abbandonarsi al tempo che verrà e insieme della “freschezza”. Aggiunge: ” Mi accingo dunque a lasciarmi[si abbandona, dunque] portare dalla forza di ogni vita vivente; l’oblio”. Essere capaci di dimenticare, ovvero di “abbandonare”, magari le sofferenze…Citiamo per esteso la parte finale della Lezione di Roland Barthes, “indimenticabile” alla quale ci “abbandoniamo”, oggi, nel suo ricordo:
“Vi è un’età in cui si insegna ciò che si sa; ma poi ne viene una’altra in cui si insegna ciò che non si sa; questo si chiama cercare. Ora è forse l’età di un’altra esperienza; quella di disimparare, di lasciare lavorare l’imprevedibile rimaneggiamento che l’oblio impone….Questa esperienza ha, credo un nome illustre………Sapientia: nessun potere, un po’ di sapere, un po’ di saggezza, e quanto più sapore possibile”. Salut, Roland.
- VIA
- Roberto Borghesi