La grande metafora di “Niente è come sembra”
“Niente è come sembra”, edito presso le Edizioni Damiano, è una raccolta di simpatiche ed intelligenti favole. Paolo Ferrari, l’autore, trascende l’età del lettore, infatti, non esiste un lettore ideale. Il titolo del libro riassume uno stile di vita e di pensiero proprio dell’autore: l’andare oltre la prima impressione e l’aprirsi nei confronti dell’altro, del diverso.
Ed è questa la peculiarità artistica di Paolo Ferrari. Infatti, l’autore si sofferma sui movimenti dei sentimenti, durante le varie età dell’essere umano, per ricavare splendidi quadretti d’illusione mista ad attualità. Il lieto fine e la tristezza diventano protagonisti di coinvolgenti racconti su fondamentali aspetti della vita che spesso l’uomo esilia in oasi della mente.
Il titolo “Niente è come sembra” racchiude qualche particolare metafora. A che cosa ti riferisci?
“Niente è come sembra” è ciò che penso della vita in generale, sulle persone, sui fatti che capitano, sulle cose che vengono date per scontate. “Niente è come sembra” è come vedo la vita, una mia particolare visione di ciò che mi circonda. Credo che, nella realtà di tutti i giorni, ci sia la necessità di andare oltre, andare oltre l’apparenza del primo pensiero. Nel limite del possibile, e non sempre ci riesco perché sono un essere umano e ci sono convinzioni che comunque restano tali, cerco di andare oltre la facciata delle cose e delle persone. Ho voluto trasportare questo mio modo di vivere in questo primo libro, ed il titolo manifesta perfettamente il mio pensiero.
Qual è la percentuale di realtà presente nel libro?
Diciamo parecchia. Le mie storie sono soltanto dei possibili modi di veder alcuni lati della vita trasportati in scrittura con il metodo della favola, che può essere interpretato come un modo per descrivere la vita. In “Niente è come sembra” c’è molta realtà, eventi vissuti, ricordi, sogni. Ogni scrittore, ogni persona che scrive, parla della propria esperienza e trasmette il suo pensiero sotto forma di satira, di poesia, di romanzo, di articolo giornalistico oppure, come me, sotto forma di favola. C’è sempre un pizzico di egocentrismo nello scrittore e quindi è normale che la percentuale di realtà sia più o meno alta.
“Niente è come sembra” è costituito da sette, cosi chiamate, favole. Qual è il racconto al quale ti senti maggiormente legato?
Sono molto legato ad una favola in particolare. “Tristezza e Felicità” è la prima della raccolta ed anche la prima che ho scritto. Questa favola affronta un argomento che mi sta a cuore: quello della tristezza. La metafora della favola verte sul rendersi conto che ci sono cose, sentimenti, situazioni che non si possono mutare e che nel mondo c’è bisogno di tutto, anche della tristezza. Dopotutto è la sofferenza che ci fa, successivamente, rallegrare e sorridere della vita.
Generalmente le favole sono lette dai grandi ai piccini. Il tuo libro nasconde una complessità di contenuti sotto una superficie di semplicità della prosa. Sei d’accordo?
Sì, certo. Quando prendo in mano una penna, essenzialmente, lo faccio per me stesso, non penso mai ad un possibile lettore “x”. Mi piace scrivere senza velleità. Non penso che “Niente è come sembra” sia un libro più adatto ad adulti oppure a bambini. Credo che sia positivo esprimere contenuti abbastanza seri utilizzando un gergo, uno stile alla portata di tutti così che si possano comprendere certi fondamentali concetti che, alla fin fine, sono quella complessità di contenuti della quale parli anche tu. Bisogna comunicare anche con i bambini di complessità etiche e sociali perché il bambino di oggi è l’adulto di domani. Credo che porre il proprio pensiero sull’assioma “niente è scontato” riuscirebbe ad eliminare dalla società molti dei pregiudizi che, oggi, rovinano l’essere umano.
Qual è il tuo rapporto con la scrittura?
Libero. Per me la scrittura è pura passione. Passione vista anche come la condivisione con gli altri. Scrivere è il modo più facile per esprimere i miei sentimenti. Non ho ambizioni quando scrivo, utilizzo la forma della favola solo perché mi vien più facile, sento maggiormente mio questo genere letterario rispetto ad un altro. Io consiglio a tutti di scrivere, a grandi ed a piccoli. Bisogna scrivere qualsiasi cosa, tener allenato il cervello, leggere, leggere tanto e qualsiasi libro di qualsiasi argomento. Anche scrivere su un diario della ragazza carina che ha salutato, comunque, non penso che scrivere sia una perdita di tempo. I ragazzi, soprattutto, che saranno gli adulti del domani, devono lasciar un po’ stare la televisione e la play station per ascoltare ed imparare dai libri, migliorando la propria mente.
Ritieni che le tue favole siano una critica nei confronti dell’educazione genitoriale della società odierna?
No, non mi permetterei mai. Io non sono un padre, non ho figli, non mi sento quindi in grado di giudicare. Essere genitore è il mestiere più difficile del mondo e non darei mai lezioni di educazione a nessuno. Bisogna anche considerare che oggi è maggiormente difficile rispetto a trenta o quaranta anni fa. Gli adolescenti, oggi, sono bombardati da tremila input. Tempo fa non c’era nulla, al massimo la televisione, eravamo di certo più beoti. Anche se non ho figli, comunque, sicuramente ho le mie idee su come si possono educare meglio i bambini. Ovviamente in generale, non parlo del rapporto padre-figlio. Credo che ci sia poca tolleranza nel rapporto con l’altro, il diverso e fin troppa maleducazione intorno. I bambini diventano lo specchio di ciò che c’è intorno a loro.
Nella favola “Pioggia” la protagonista Lady Ophelya è la reincarnazione, con lieto fine, dell’Ophelia Shakespeariana?
No, direi proprio di no, Shakespeare non ha nessuna attinenza. La favola è legata ad un evento reale vissuto da una donna. “Pioggia” è un messaggio di come bisogna avere la forza di vivere, di sopravvivere, e naturalmente di sognare. Infatti, la metafora dell’acqua che riporta il sole che fa capitolino sulle nuvole mantiene stretto il concetto dell’importanza del sogno. Dopo aver scritto la favola, rileggendola, ho visto qualche attinenza con Shakespeare ma quando l’ho scritta non ho minimamente pensato alla tragica Ophelia. Anche il nome della protagonista della mia favola è stato un caso.
In “Non tutte le ali sono uguali” Farfallino Primo è il classico esempio di reietto che si trasforma in eletto?
Sì, ed oltre alla posizione di reietto vorrei aggiungere che la lettura che ho cercato di trasmettere e che spero si possa percepire è semplicemente l’andare oltre la superficie.
Ho battuto molto su questo concetto in tutte le favole, in “Non tutte le ali sono uguali” si ha una farfalla diversa, non colorata come le altre ma, bianca e nera. La farfalla viene esiliata perché diversa ma sarà il suo coraggio ed il suo cuore a salvare tutto il regno. Ritengo che sia un ottimo esempio per coloro che hanno paura del diverso e lo emarginano continuamente. L’adulto deve insegnare al bambino l’uguaglianza di fondo che esiste tra gli esseri umani con tutte le sfaccettature che ci rendono diversi ed unici: colore della pelle, religione, società, malattie.
Non dobbiamo fermarci alla prima impressione ma eliminare il marchio che contraddistingue la diversità e iniziare a guardare nuovamente con la mente più libera. Se, per esempio, un bambino ha un ritardo mentale non deve essere messo da parte dagli altri bambini, o se un ragazzo non ha potuto studiare per problemi famigliari non deve esser preso in giro da chi ha potuto farlo.
Consideri te stesso come il personale Deus ex machina dei tuoi piccoli protagonisti?
Credo che sia ovvio che una parte voglia diventare vincente. Ho sempre avuto una grossa simpatia per i più deboli, diciamo che mi metto sempre dalla parte del più debole che poi, in vero, non è detto che lo sia perché è molto più forte del presunto forte, un po’ come Farfallino Primo. Per esempio ho sempre provato più affetto per gli indiani piuttosto che per i soldati.
Non soltanto nella favola “Il lieto fine” ma ovunque nel libro ti sei posto nei confronti della trama in posizione benefica, ovvero, da una tragedia “x” hai creato una soluzione piacevole. Non credi, però, che ci sia un velo d’amarezza anche nel lieto fine?
Ah sì, assolutamente. La malinconia è l’altra faccia della medaglia, sempre presente. Ritengo che ci sia sempre amarezza con il lieto fine nella maggior parte delle cose che ho scritto, degli eventi e delle situazioni che, abitualmente, viviamo. Tutti tentiamo di risolvere i problemi con la consapevolezza che l’amarezza che si prova durante il problema comunque non svanisce con il lieto fine, e quindi con il superamento del problema.
Che sia questo il libro che porterà genitori e bambini a riscoprire quel “cibo” che può portare ad alimentare il fanciullo che è in ognuno di noi? Sfogliando le pagine di “Niente è come sembra” è possibile.
Il libro è in vendita presso lo l’e-commerce Edizioni Damiano www.edizionidamianoshop.com o direttamente con l’operatore nello shopping telefonico al n. 0541.678554 (più linee) 7 giorni su 7 con tutte le modalità di pagamento