Il Lettorante
L’egoismo.
“Io”, “ego”, “me”……solo me. La storia del pensiero, almeno in Occidente, è una continua e grande storia dell’ego. Essa si fonda sulla tesi che ciascun individuo è un’unità monolite, integra, che dunque è consapevole e certa delle sue scelte e dei suoi movimenti.
E’ solo verso la fine del XIX secolo e nel XX secolo che questa struttura marmorea dell’unicità dell’individuo viene messa in discussione. Ne deriva che da una posizione dei rapporti tra le persone fondata sulla contrapposizione delle singolarità, si passa una relazione fluida e instabile. Questo determina un cambiamento della propria stabilità interiore. Da una forma di egoismo fondato sulla pretesa di un’imposizione di sé e di un’affermazione assoluta della porpora identità che si fonda su rapporti di forza e dunque sulla bellicosità di fondo dei rapporti stessi per un’affermazione di supremazia, si passa ad un egoismo dell’insicurezza, che si muove come una piovra per cercare agganci che fermino la sensazione di pericolo continuo che l’instabilità determina. Due tipi di egoismo, allora; uno di derivazione marmorea, l’altro di derivazione liquida. Ma si tratta sempre di egoismo; ossia di un rapportarsi all’altro per un’affermazione di sé che pone al primo posto se stessi. Tutto ciò fa si che prevalga nel rapporto con l’altro il tenere per sé cose e talenti, le mani chiuse, il corpo raccolto sulle proprie sensazioni. Secondo la filosofia di un noto pensatore francese potremmo dire che l’egoismo nasce dal presupposto che si nasca in solitudine, mentre si dimentica che prima di succhiare avidamente il latte dal seno della madre, il bimbo ha vissuto per nove mesi a contatto con il corpo materno, non da solo, dunque… Pertanto se si accoglie l’idea che la nascita è un evento di comunione e non di solitudine, cambia la prospettiva del ruolo apparentemente primario dell’egoismo. Esso diventa, allora, fin dal momento, appunto, della suzione del latte materno, un rapporto di assorbimento dell’energia esterna in funzione di un accrescimento della propria stabilità, ma che ha come obiettivo un ritorno alla relazione con l’altro. La gelosia di sé, il non volere dare all’altro le proprie ricchezze, il rifiuto soprattutto di arricchire l’altro più che una conservazione di sé, questo è un egoismo primario. Esso va dunque più interpretato come un rifiuto della promozione della relazione con l’altro, che una conservazione della propria identità monolitica. Eppure, la modernità, proprio mentre sul piano culturale è l’epoca della messa in discussione della monoliticità dell’Io, e dunque della sua sicurezza, è anche l’epoca dell’amplificazione dell’egoismo come fenomeno politico. Non avendo più certezza di sé come singolo, il soggetto ritrova nella collettività, nel pensare unico e nello stesso modo del gruppo, la forza e la sicurezza che evita l’inquietudine singolare. La modernità è l’epoca degli egoismi di massa; la società dei consumi è la società in cui si è “egoisti” insieme; di qui i fenomeni delle violenze di gruppo, di qui i totalitarismi, dove uno vale per tutti e tutti si identificano in quell’uno che porta in evidenza gli “egoismi” più assoluti del gruppo; rifiuto del fuori-gruppo, del diverso, del debole, esaltazione dell’unicità dei più: Mentre nel pensiero e nell’arte moderna, la frantumazione dell’identità è vissuta come una risorsa di ricerca del contatto e della relazione, nella politica moderna la frantumazione rimanda ad un’ossessionante ricerca dell’appiattimento. Nella società dei consumi assistiamo poi a quella che Pasolini chiamava la “omologazione”. E oggi siamo tante piccole isole senza ormai più un’identità singolare, che ritrovano la loro conformazione nel rispecchiamento collettivo, nella neutralità dell’essere. Egoismo senza anima, allora, potremmo chiamare quello del nostro presente. Ma ci sono tante piccole “isole” nell’arcipelago caratterizzate da quello che Nietzsche chiamava un “sano egoismo”, quello della singolarità che “ama” se stessa per amare l’altro e da un’isola all’altra accende falò nella notte del XXI secolo per dare all’uomo di domani, “egoista”, ma non egocentrista una direzione di progresso.