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La morte ti fa bella
La commedia di Robert Zemeckis, intitolata “La morte ti fa bella” solleva una questione già particolarmente accesa nei primi anni Novanta, ovvero, l’ossessione per l’eterna bellezza, che ha assunto proporzioni esagerate ai giorni nostri, dove il chirurgo estetico, rappresenta colui che detiene il potere di rallentare il processo di invecchiamento, e con l’aiuto del bisturi, rende corpi perfetti e seducenti.
Madeleine e Helen, un tempo amiche, vivono in perenne rivalità, ambiscono ad essere le più belle, ammirate e invidiate da uomini e donne. La prima riesce a rubare il marito all’altra, Ernest, un chirurgo estetico di successo, desiderato esclusivamente per la sua capacità di ringiovanire il fisico. Il suo ruolo all’inizio della vicenda è idealizzato da entrambe le donne, le quali proiettano su di lui le proprie speranze illusorie di perfezione estetica, ma quando Madeleine si rende conto che la carriera del chirurgo della dive è stroncata dall’alcolismo, ridimensiona la sua immagine in modo patologico, attraverso la svalutazione totale delle sue capacità. Questo film, indipendentemente dalla castrazione psicologica che Madeleine infligge al marito, non tratta in modo specifico di questioni di coppia, piuttosto descrive in modo ironico naturalmente, l’ossessione effimera e malata per la giovinezza, e la conseguente aggressività che si cela dietro al desiderio di essere bella. I personaggi femminili del film, mostrano una nevrosi del carattere di tipo ossessivo e persecutorio.
Nella personalità di Madeleine/Helen, l’immagine ideale è proiettata esclusivamente nel dominio del corpo, concepito per essere grandioso e perfetto. L’amore e la comprensione per i bisogni altrui, non hanno ragione di esistere, perché tutte le energie psichiche sono focalizzate a mantenere intatto e privo di difetti un “io-corpo” strutturalmente nevrotico. Lo specchio è l’unica verità che conta, la sua parola è immediata e anche gli effetti che produce nella vita di Mad/Helen. La ricerca della bellezza ad ogni costo, così come la necessità di controllare un deficitario “io-corpo” attraverso sedute estenuanti di body building, esprimono un rapporto angoscioso e conflittuale con la morte. L’insicurezza dell’Io, si manifesta con pensieri e comportamenti ossessivi diretti verso la cura del corpo, la fragilità dell'”io-anima” non lascia un attimo di respiro ad un corpo che è prigioniero di se stesso. Il benessere effimero provocato dal desiderio di avere un’immagine perfetta, può assumere effetti disastrosi per l’adattamento psicosociale dell’individuo.
L’ossessione per la perfezione si tramuta nei casi più gravi in uno “pseudo delirio” persecutorio, in cui l’immagine ideale dell’io-corpo perseguita se stessa, ed è in continua rivalità con il mondo. Cosa accade quando l’aggressività prende il sopravvento? le difese più mature sono crollate e il soggetto che ripone nello specchio l’integrità dell’io-corpo, non vede più un’immagine unitaria ma frammentata di se stesso. Ciò significa che i suoi pensieri e i comportamenti che fino ad allora seguivano uno schema cognitivo rigido, affliggendo l’io-anima, vengono inconsciamente proiettati all’esterno, con la conseguenza che chiunque si opponga al perfezionismo estetico, scatenerà una risposta di aggressione verbale e/o fisica. Nel film, Madeleine e Helen si ribellano alle sollecitazioni di Ernest, il quale tenta inutilmente di farle ragionare in merito alla loro rivalità, ma non appena scopre che entrambe hanno fatto uso del filtro magico di una seducente fattucchiera, che le renderebbe immortali e giovani in eterno, l’uomo capisce di essere in pericolo. Le due donne, provano con la forza a far bere anche all’uomo la pozione, ma di fronte all’ennesimo rifiuto, si adoperano per eliminarlo, facendolo cadere da un tetto. La pozione che garantisce l’eterna giovinezza, si sostituisce alla verità dello specchio, e enfatizza il bisogno di sedurre con un corpo giovane ma artificiale, una confezione nevrotica e illusoria di fragilità e insicurezza.
Nell’ottica della cinema terapia, la visione di “La morte ti fa bella” è consigliata a chi assume un atteggiamento troppo rigido nei confronti della propria immagine, e soprattutto a chi fa delle rinunce esagerate, come sottoporsi a rigidi regimi alimentari, per imitare irrealistici canoni di bellezza. Il film tratta anche della rivalità fra donne, l’invidia distruttiva che porta a distruggere ciò che l’altro possiede, perché lo si desidera troppo. E’ sufficiente porsi alcune domande, per capire se nel presente siamo in grado di accettare noi stessi, senza rincorrere assurde chimere estetiche:
1) Quanto tempo dedico alla cura giornaliera del mio corpo?
2) Mi ritrovo spesso a fantasticare sul mio aspetto e sul fatto di essere ammirata dagli altri?
3) Se qualcuno critica il mio stile alimentare mi arrabbio facilmente?
4) Mi sento spesso osservata dagli estranei?
5) Penso spesso al tempo che passa?
6) Sono disposta a tutto, pur di ottenere ciò che voglio?…
7) Le persone che non condividono il mio stile di vita ce l’hanno con me?
La vicenda narrata si sofferma in modo ironico e piuttosto superficiale, sul tema dell’immortalità, concludendo che essere eterni non significa necessariamente garantirsi la felicità. Questo è, infatti, ciò che accade alle protagoniste: l’io-anima si ribella alla costrizione dell’essere, in conflitto con un io-corpo, che seppur giovane nell’apparenza, è destinato al progressivo disfacimento strutturale. La pozione della fattucchiera le fa apparire belle in eterno, ma non ferma il decadimento strutturale del corpo, così che le due donne si ritrovano con dei corpi manichini, “incerottati” e incollati non appena se ne presenta l’occasione. Il tempo materiale apparentemente bloccato sul viso di Mad/Helen, si lascia scavalcare dal tempo dell’anima, infinito e inarrestabile conduce le donne sull’orlo della follia.
Dr.ssa Nerina Zarabara Psicologa
Per info e consulenze: nerinazarabara@gmail.com