Janeleggedinotte
Il vecchio che leggeva romanzi d’amore (Luis Sepùlveda, 1989)
Il romanzo che ha decretato il successo internazionale di Luis Sepùlveda, è la storia di un ribelle dal cuore tenero, Antonio José Bolivar ha scavalcato le barriere del conformismo per vivere in solitudine nella foresta Amazzonica.
La vita a El Idillio scorre al ritmo della lentezza e della semplicità, gli abitanti vivono con poco e attendono l’arrivo del Sucre, il barcone che una volta al mese approda al molo del fiume Nangaritza, come se fosse l’unico contatto indispensabile con il mondo esterno: casse di birra, bombole di gas, e generi alimentari vari sono acciuffati in tutta fretta.
Il Sucre però rappresenta un mondo a sé stante, ironico e rude al tempo stesso, il barcone è un crocevia di vite disperate e di gengive sanguinati. Una sedia da barbiere, posizionata come un trono al centro della barca sgangherata, accoglie i malcapitati che devono sorbirsi gli sproloqui del dentista Rubicundo Loachamin pur di sistemarsi la bocca con dentiere rimediate, o farsi strappare i denti dopo aver ingurgitato qualche sorso di whisky. Antonio Josè Bolivar dell’ex colono bianco che era, non ha più niente, nemmeno i denti visto che se li fa strappare per sostituirli con una pratica dentiera che gli permetterà di masticare meglio pesce e carne di scimmia.
L’eroe nato dalla penna di Sepùlveda è un tipo di persona che non incontrerete mai nella vostra vita, non fermatevi all’apparenza, il fatto che abbia vissuto per più di cinque anni con gli Shuar, apprendendo a cacciare roditori, cinghiali, capibara, scimmie e ad usare la cerbottana come loro, non significa che sia un selvaggio.
Il protagonista sa ascoltare la foresta ed è il suo linguaggio che gli ha permesso di sopravvivere in un mondo dove non c’è posto per lui. Lui e la moglie Esmeralda, hanno affrontato diverse peripezie nel tentativo di insediarsi in un nuovo villaggio, ma il clima e la natura selvaggia non li ha aiutati, gli altri coloni o sono morti o gli hanno voltato la faccia, e quando l’amata compagna muore a causa della malaria, la foresta è tutto ciò che gli resta.
Può un luogo incontaminato, senza padroni né confini far dimenticare l’odio che alberga segreto dentro l’animo umano? Secondo Sepùlveda si! Antonio Josè Bolivar assimila i ritmi della foresta, e diventa uno Shuar, caccia e si nutre come uno Shuar e ama con una concezione di amore libero senza possesso e gelosia. Questa libertà inebriante lo rende fiero. Un mondo ideale sembrerebbe, fino a quando non arrivano i bianchi cercatori d’oro a rompere questo idillio. L’uccisione del suo compagno di caccia Nushino ad opera di un cercatore d’oro, gli fa ricordare che ha un debito nei confronti del popolo che lo ha ospitato. Così decide di vendicarlo, ma nell’uccidere l’assassino di Nushino commette un errore, gli spara con un fucile e non rispetta le regole degli Shuar in base alle quali solo se la vittima lotterà in modo equo, con la dignità di un guerriero, allora all’anima di Nushino sarà libera.
Disonorato e addolorato, Antonio lascia la foresta con un nuovo dolore e molti anni sulle spalle.
Ancora una volta il protagonista mi sorprende, fosse capitato a un occidentale moderno una tale sfortunata serie di eventi, quest’ultimo avrebbe scelto di annegare il dolore nell’alcol o negli antidepressivi, invece Antonio Josè Bolivar sfugge alla consapevolezza di aver perduto l’affetto degli Shuar, con grande dignità e fa un’altra scoperta, realizza di saper leggere, e da questo incontro casuale con la lettura e nello specifico i romanzi d’amore, (presi in prestito da un’amica prostituta) dà un nuovo significato alla sua vita.
Antonio cerca fra le pagine di vecchi libri, l’amore che ha perduto, il benessere psico-affettivo che aveva conquistato con il sudore fra gli Shuar e tutti i giorni nella penombra della sua capanna, dopo essersi nutrito, ripone la dentiera in una piccola scatola ed inizia la sua “recherche”.
Questo libro insegna che la vita è una continua lotta per la sopravvivenza, ogni volta che la corrente del fiume si placa, un evento improvviso che non avevi calcolato si affaccia e tu devi affrontarlo.
Una metafora della vita che può essere letta in molti modi, in fondo Antonio è un solitario, un eroe buono che cerca la sua pace lontano dai bianchi.
Come tutti i così detti “buoni” non potrà fare ciò che desidera perché dietro l’angolo qualcuno gli sta chiedendo il conto, e questo antagonista è il sindaco di El Idillio soprannominato “Lumaca”, infatti per colpa sua, Antonio sarà costretto a tornare nella foresta, un luogo che ha amato ma dal quale è stato cacciato. Da qualche tempo una Tigrillos si aggira disseminando morte e paura.
La Tigrillos non è semplicemente un animale fuori controllo, rappresenta una sfida che Antonio Josè Bolivar conosce bene perché scrutando gli occhi e i movimenti della predatrice, lui vede sé stesso, non solo l’amore perduto ma il dolore che non vuole argini e quella sete di libertà prepotente che non ammette confini.
Antonio e la Tigrillos si cercano, e lo scontro sarà necessario forse per uccidere il dolore che li accomuna, annientarlo una volta per tutte, ma non la sete di libertà, perché è come un tuono e non si può assolutamente legare.
Saggezza e libertà: due parole che suonano in antitesi e che coesistono nel personaggio di Antonio José Bolivar, in questo splendido romanzo, l’inquietudine di un eroe buono e saggio trova la sua antagonista nella passione feroce di una Tigrillos che non aspetta mediazioni e chiede sangue per quello che le hanno fatto. Antonio ci insegna a non cedere alla vendetta, alla rabbia distruttiva, ricorre ai mezzi di cui dispone per riportare la quiete in sé stesso, perché ricattato da una sistema sbagliato, ( il prepotente sindaco “Lumaca”) ma lui sta al gioco, pur consapevole di non poter cambiare la collettività che lo circonda, fa quello che deve fare e se ne ritorna nel suo mondo, quello dei libri e dell’immaginazione. Uno spazio puro intoccabile, dove la violenza e la stoltezza degli uomini non può esistere.
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- Nerina Elena