Vignettopoli
Emanuele Corvetto, flâneur del ventunesimo secolo
Emanuele Corvetto, giovane poeta di soli 23 anni, è alle prese con la sua seconda pubblicazione “Sogni parassiti” con le Edizioni Damiano. Emanuele Corvetto, flâneur del ventunesimo secolo, non distante dalle tematiche interiori dei suoi predecessori, attualizza il guardar la natura traendone istanti, getti di inchiostro che garantiscono una soddisfazione momentanea, fruibile, mutevole.
L’istante contrapposto al tempo che scorre plasma i versi di Corvetto in memorie selvagge, parole che cadono veloci sulla carta, parole che non ambiscono alla risposta univoca dei perché della sua vita o della società contemporanea ma che placano il loro bisogno di agevolare l’espansione tout cort del pensiero.
Quand’è nata la tua passione per la letteratura e nello specifico per la poesia?
Non conosco il momento esatto in cui è sbocciata la mia passione letteraria, so di essere sempre stato un ragazzo con qualcosa da dire, un qualcosa che difficilmente concedevo alle orecchie di chi mi circondava non per imbarazzo ma quasi per mancanza di significati in quell’azione di esternazione.
Un bel giorno compresi che qualcuno, quasi inspiegabilmente, avrebbe potuto trarre giovamento dai miei pensieri e mi convinsi a pubblicare. Se non fosse stato per questo avrei continuato a tenere la mia roba nel cassetto serenamente a mio agio nelle mura del mio essere.
Prendi spunto da poeti particolari o stili letterari?
Non ho mai badato alla letteratura ed a tutti i suoi generi in senso specifico. Non studio lo stile dei cosiddetti “grandi” perché non m’interessa. Mi allieto dei loro scritti ma non cerco di tessere una base tecnica partendo da essi. Sono convinto che, bene o male, è stato detto tutto, impelagarsi nei discorsi di altri rende solo più difficili le cose e mette in soggezione. Preferisco battere la mia strada e vedere chi incontro sulla via; solitamente poi sono gli altri che mi paragonano a stili o personaggi del passato.
Ci sono comunque delle figure che mi hanno sempre affascinato ed alle quali mi sono sentito particolarmente vicino.
I poeti maledetti, ad esempio, hanno esercitato una sorta di magnetismo su di me non tanto per il loro stile di scrittura ma per la loro concezione del quotidiano. Quello che mi è rimasto più caro è sicuramente Baudelaire perché fu il primo che lessi e che mi colpì profondamente. Si avvicina ad un mio punto di vista a livello tematico non stilistico, ovviamente.
E dei poeti italiani che mi sai dire?
Con gli autori italiani non ho mai avuto un grandissimo feeling. Di molti stimo le opere ma non mi hanno mai trasmesso un senso di appartenenza, li ho visti sempre abbastanza distanti da me. Non ho quindi letto molto di italiano, forse sento maggiormente vicino un Leopardi rispetto agli esponenti dell’ermetismo. Spostandomi al di fuori dell’Italia, in Francia ed in Inghilterra, per esempio, riesco a trovare la mia dimensione, un’affinità di vedute, dipinti reali. La mia immaginazione si culla con Blake perché è il mio gusto che in un certo qual modo incontra i suoi versi. Trascino dentro di me poche letture ma sono leggere nel loro peso secolare, per me è difficile invece trascinare un autore come Kerouac. Solo istanti di feeling.
Non senti però una vicinanza di stile con l’ermetismo italiano?
No, è una coincidenza. Considerando che l’ermetismo deriva dal decadentismo, e che il decadentismo italiano con massimo esponente D’Annunzio è a sua volta una derivazione del decadentismo francese, io ho solo apprezzato quest’ultimo. Il resto sono congetture e coincidenze anche perché non mi son mai soffermato sulla poetica italiana.
Parlando dei tuoi scritti come li definiresti?
La ragione dei miei istinti. Questo è un concetto fondamentale che durante gli anni sempre più mi è appartenuto. Io vedo l’uomo intrappolato nella società moderna. Tutto ciò che abbiamo per essere civili non è altro che l’annullamento degli istinti, della spontaneità. L’uomo sempre più spinge per diventare un automa. Questo è un male perché l’uomo vuole scordarsi che proviene dalla natura e che alla natura continua ad appartenere. L’uomo è malato perché vuole annullare completamente l’istinto. La ragione dei miei istinti perché i miei versi sono istinti, non lo nego anzi me ne compiaccio. Io cerco di razionalizzare gli istinti con i versi cercando di rendere comprensibile all’altro, al lettore, ciò che provo in quel momento. Una razionalizzazione in questi termini. La ragione capisce gli istinti e cerca di visualizzare in parole ciò che sento.
Prendendo una tua poesia, per esempio, “Ballata per cori molesti” :
“Visione di te/che spiazzando mi cogli/ove la sabbia si scioglie/nel mare tramonti/tra luci del giorno /che chiassoso finisce/rimane il ricordo/che nel futuro/cresce e svanisce”
mi sai spiegare questo “io” che si interpone al “te”? Tu sei l’ “io”?
Quello che scrivo è applicabile a chiunque. In genere non penso a me o ad un tu reale ma il tutto si muove sotto un profilo neutro. Le parole nascono nella mia mente per un motivo, nel momento esatto in cui rileggo i versi non so il motivo ma, son certo che uno ci sia. Il “visione di te” credo sia riferito ad una figura femminile, ma questa figura è legata ad altre sfaccettature, sfumature. Questi altri attributi rendano nullo il valore della ragione per il quale è nato il verso. Sostenere che il “visione di te” è dedicato ad una “ragazza x” non è veritiero oggi. I versi hanno un motivo per nascere ma questo motivo decade subito, istantaneamente. La natura è presente in modo ossessivo nella mia mente, come radice e base di ogni mio istinto. La figura femminile si chiude e riapre in una veduta campestre o in un fiore del deserto.
Nelle tue poesie è quasi assente la punteggiatura, la reputi inutile?
Si, a volte è solo d’impiccio. In verità non ho mai badato alla punteggiatura, sono consapevole delle regole e dei grandi studiosi che le hanno portate avanti, ma è totalmente superflua. Come l’uso della maiuscola. Infatti utilizzo la maiuscola soprattutto per creare distacco d’argomento tra i versi. Non inserendo il punto ho bisogno della maiuscola. La punteggiatura è simile alla battuta musicale: non deve dare il senso preciso. Elimino la punteggiatura per un mio intrinseco bisogno di musicalità.
“Sogni parassiti” presenta anche la partecipazione di poesie in lingua straniera, precisamente in inglese? Vuoi puntare verso il mercato internazionale?
La mia poesia è molto veloce, non sto a pensare molto, voglio farmi trascinare dall’istinto. Non sto a pensarci, non cerco le parole ponderando lungamente su come scrivere un concetto. Lo scrivo. Nella raccolta “Sogni parassiti” ci sono diverse poesie in inglese, non c’è una vera spiegazione, ho pensato in inglese, ho scritto in inglese. Non bisogna cercare tematiche di fondo che uniscono i miei scritti. E’ come fare una foto, non sai cos’hai intrappolato ma sai che c’è qualcosa che ti piaceva. Rispondendo alla seconda domanda sul mercato internazionale, non ho scritto in inglese poesie come “Routine smokes saturation” pensandoci ma, non mi dispiacerebbe pubblicare in inglese. Più avanti nel tempo se questa propensione verso la lingua straniera continua ad appartenermi sicuramente cercherò di pubblicare anche fuori Italia.
Qual è la differenza maggiore tra il tuo primo libro di poesie “Memorie di un corvo” e “Sogni parassiti”?
Sicuramente l’estensione. “Memorie di un corvo” è un librone di 250 pagine, al suo interno c’è di tutto, ci sono molti stili con propensione verso l’aulico. “Sogni parassiti” è l’audacia dell’istante.
Mi sai dire l’ultimo libro che hai letto ?
Si, “1984” di George Orwell. E’ assurdo, una persona legge Orwell e magari non capta che non stiamo andando verso quella destinazione ma che l’abbiamo superata da tempo, non mi riferisco soltanto all’Italia ma alla maggior parte del Mondo. Noi siamo chiusi in un sistema controllato. Quello che facciamo, quello che abbiamo fatto e anche quello che abbiamo in testa di fare è tracciabile. Siamo dentro scatole e ci limitiamo ad osservare persone chiuse dentro scatole. E’ una società profondamente malata.
Nella speranza che la società riesca a far sua la riflessione del nostro giovane poeta, vi lasciamo alle sue pagine scritte, a Sogni Parassiti, e chissà che qualche altra riflessione non possa essere colta dal lettore dal volo poetico di Emanuele Corvetto.
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