Il colpevole “imperfetto” e i fatti di via Poma
Il ritrovamento nelle acque di una località chiamata Torre Ovo, vicino a Torricella, dove si era trasferito da anni. Una lunga e penosa storia ha visto l’epilogo con la fine di un personaggio che, a torto o a ragione, era stata sbattuto in prima pagina e come sempre succede, anche quando tutto decade, rimane l’ombra del sospetto. Pietrino Vanacore, il primo presunto colpevole del delitto di Via Poma, ex portiere dello stabile dove fu trovato il corpo esamine di Simonetta Cesaroni, si è tolto la vita.
Con riferimento al lavoro della polizia scientifica, i nostri RIS, ci si rende conto che ciò che le fiction poliziesche cui i network televisivi americani ci hanno abituato, non hanno nulla a che vedere con le indagini del nostro nucleo investigativo. Le performance dei tanti Mark Harmon, affascinanti investigatori che ogni giorno ci tengono compagnia dagli schermi TV, sono distanti anni luce da una realtà che non è solo italiana. La sete di giustizia che si avverte ovunque portano a compensare una mancanza che il cittadino avverte, ma verso cui non può nulla, quindi si identifica e prende atto di realtà investigative che, gratificano, portano velocità alle indagini e azione, di un “tutto” che si deve compiere nell’ordine di una sola ora, di un colpevole che non sfugge alla giustizia, di tecnologie che fanno sognare anche se poco credibili. Per la fiction non esiste il “delitto perfetto”, oppure, è solo un titolo al di là del contenuto e non appena si faranno indagini in stile “ Cold Case”, tutto sarà puntualmente chiarito “come da copione”. Il vero colpevole salterà fuori ed il malcapitato di turno o “colpevole imperfetto”, riabilitato. Ma il copione su cui studiano gli attori non è firmato da un magistrato, ma da uno sceneggiatore, uno scrittore, un uomo che vive della sua fantasia che fa perfettamente aderire al nostro quotidiano. Ma è fantasia, finzione: fiction.
Ma seppur la realtà investigativa non sia quella dei telefilm è anche vero che troppe volte si è letto di un’imperfezione investigativa che ha reso vano il presentare una prova che avrebbe potuto essere risolutiva ai fini processuali. Il cittadino assiste a processi che non finiscono mai, che sia poi un vizio di procedura o perizie e controperizie ad inficiare un percorso, questo è quello cui si assiste, che ci raccontano giornali e televisione, mettendocene a parte con dovizia di particolari.
La verità è che ci coinvolgono a tal punto da farci partecipare e schierarci, diventiamo colpevolisti o innocentisti, presi da bramosia di sapere, alimentiamo ancora di più il grande gioco mediatico su queste povere vicende umane. Perché la nostra società ci ha abituati ad essere noi stessi protagonisti delle grandi kermesse giudiziarie. La corsa allo svelamento della verità vuole la”prova”.
Il 12 marzo, Pietrino Vanacore, avrebbe dovuto presentarsi nuovamente davanti ai giudici, questa volta un nuovo imputato in quello che fu il posto da lui occupato a più riprese: l’ex fidanzato della vittima Simonetta Cesaroni, Raniero Busco. Tra i testi, anche l’ex datore di lavoro di Simonetta e il figlio del Vanacore, Luca.
Le “verità nascoste” di cui parlano gli inquirenti e verso le quali il Vanacore non aveva mai saputo, voluto o potuto dare risposta, rimangono ad alimentare il filo sottile che lo collega alla vicenda anche da morto. Riusciranno a scrivere la parola fine sul delitto? O rimarrà un caso irrisolto… un delitto perfetto? Intanto le domande sui suoi silenzi si sprecano tra gli addetti ai lavori e la gente comune. Era stato sulla scena del delitto il Vanacore o stava davvero innaffiando i fiori in un appartamento come egli affermava? E se ci fosse veramente stato in quell’ufficio, perché non dirlo? E le telefonate fatte sempre da quell’ufficio, che spiegazione dare? Perché le chiavi con il nastrino giallo si trovavano nell’ufficio e non nell’abitazione del Vanacore, visto che erano il doppione in dotazione al portiere dello stabile?
Due messaggi hanno preceduto il ritrovamento del corpo che pare siano stati scritti dall’uomo per spiegarne il gesto e l’interpretazione che ne viene data lo dice in chiaro il contenuto stesso e che riconduce ai vent’anni di sofferenze in cui l’uomo aveva vissuto a seguito della tragedia. Si è lasciato morire, annegando in poca acqua. Suicidio dicono gli inquirenti, almeno fino a quando la scientifica con il completamento delle indagini e gli esami, lo confermeranno definitivamente. Un “colpevole” imperfetto? Solo la soluzione del giallo potrà dirlo. Il giungere alla verità, semina sempre la strada di colpevoli “imperfetti” che passano attraverso il tragitto di Pietrino Vanacore. Il clamore dei media, con i resoconti dei tanti processi che inchiostrano le pagine dei giornali, e riempiono di voci trasmissioni televisive, catturano il lettore morbosamente, hanno sempre l’effetto boomerang, ovvero il calvario che perseguiterà chi, si troverà a dover fare i conti con una vicenda nera verso la quale potrebbe anche esserne estraneo. L’informazione continuerà per la sua strada. Farà il suo corso ed i suoi danni.
Ancora oggi, all’udienza per la riapertura del processo, questi gli interrogativi su cui si è parlato. Se ne parlerà ancora, perché lì è la chiave?
L’efferato crimine non è ancora stato dimenticato, ed ogni volta che si riapre la scena su questo giallo, le 30 coltellate inferte con il tagliacarte sul corpo della giovane donna, tornano inevitabilmente alla mente. Sì, il Vanacore venne prosciolto, ma per gli inquirenti, egli sapeva. Rimarrà un colpevole “imperfetto” o sarà riabilitato in questo nuovo processo? Al di là di quello che potrà succedere e nella speranza che si arrivi ad una conclusione che possa rendere giustizia a chi deve averla e l’attende da troppo tempo, siamo ancora qui ad attendere, ancora una volta, quelle che il nuovo procedimento penale porterà alla luce. Per il gesto estremo e le motivazioni che hanno accompagnato Pietrino Vanacore verso il suo ultimo domicilio, restano i biglietti a motivarne il percorso da “colpevole imperfetto” secondo il suo dire, e se c’era un segreto, l’uomo se l’è portato dietro. La parola a questo nuovo processo.
La realtà investigativa nella quale operano gli addetti ai lavori è, e dovrebbe essere, secondo noi, meno esposta ai flash dei fotoreporter, al fiato sul collo di questo o quel conduttore televisivo che pur di fare audience, talvolta pregiudica un percorso investigativo prezioso, per sparare il suo scoop. Siamo tutti colpevoli, nessuno è colpevole, tutti innocenti! …ma un’altra vita si è spezzata. Quante sono potenzialmente le persone che potrebbero trovarsi nella stessa situazione?…una… nessuna, centomila?
*illustrazione che ritrae Simonetta è di Nida per Edizioni Damiano*