L'Opinione di
2001: ODISSEO NELL’OSPIZIO
Mi chiedono di scrivere qualcosa per l’anno nuovo, e mi accorgo così che anche il fatidico Duemila è ormai alle nostre spalle. Ricordate? Sembra ieri che ci ritrovammo qui tutti elettrizzati per vivere l’evento tanto atteso, ed ecco che già ci accingiamo ad archiviarlo tra i ricordi: come tutte le cose anche l’anno tondo e speciale è passato, e comincia finalmente quel Terzo Millennio che l’ansia consumistica aveva motu proprio anticipato di trecentosessantasei giorni.
Qualcuno dice che i numeri hanno una loro intrinseca essenza, e forse è realmente così. Io comunque sono sicuro che per molti di noi, anche quelli più giovani o più vecchi di me, l’anno che si affaccia è “statutariamente” associato al film partorito dal genio di Stanley Kubrick alla fine degli anni ’60. Mi sembra persino superfluo rammentarne il titolo (che d’altronde ho parafrasato all’inizio), tanto ha segnato un’epoca. A quei tempi una sorta di ebbrezza tecnologica sembrava aver contagiato tutti, e persino noi ragazzini sentivamo di vivere in prima persona quelle conquiste scientifiche che si traducevano in beni sempre maggiori a nostra disposizione (delle cosiddette conquiste sociali sentivamo solo parlare dai più grandi, se mai ne sentivamo parlare). Correva il 1968, anno che sarebbe poi diventato il simbolo di una rivoluzione di pensiero, e di lì a pochi mesi due americani avrebbero passeggiato sulla Luna; la laurea e le stelle ci sembrarono più vicine, anche se la TV (almeno da noi) aveva ancora due soli canali e forse anche per questo non ci bombardava con dozzine di trailers al giorno. Così se un film faceva epoca, potevi giurare che qualcosa di speciale ce l’aveva di sicuro.
2001: Odissea nello spazio è infatti un capolavoro assoluto, che sviluppa l’idea romanzesca di Arthur Clarke tramutando in suggestione ciò che nel testo letterario è descrizione e che finisce col rivelarsi una delle più articolate riflessioni sul rapporto civiltà-tecnologia mai pervenute al grande schermo. Protagonista della pellicola non è il “supermacho” o la “tuttacurve” di turno ma un ipotetico computer di ultima generazione, HAL 9000, la cui voce disumanamente priva di emozioni e il cui rosso ed inaccecabile occhio (chi l’avrebbe detto che trentadue anni dopo sarebbe diventato la sigla di un’immane stupidaggine televisiva!) trattengono lo spettatore per i 139 minuti della proiezione in una suspence che nulla ha da invidiare ai migliori thrilling di hitchcockiana memoria. Coprotagonista un parallelepipedo nero, il monolito, le cui emissioni fanno più sconquassi di un dual-band e le cui vicissitudini spaziotemporali, oltre a costituire il movente della trama, rappresentano una sorta di marcatempo della narrazione stessa. Scenografia e colonna sonora non sono da meno: la prima mischia sapientemente il nero degli abissi siderali col bianco fulgido dell’astronave e di alcuni interni surreali; mentre parallelamente la seconda enfatizza questa dicotomia alternando il silenzio assoluto alle maestose note del Danubio Blu di Strauss (che da allora in poi ritroveremo in miriadi di salse come accompagnamento delle più disparate cose, dall’interessante documentario alla banale pubblicità).
Tranquilli, non ho certo intenzione di raccontarvi il film o riscriverne la recensione; darò anzi per scontato che ne conosciate la trama. Permettetemi però solo qualche altro richiamo ad esso per raccordarmi ad alcune cose che voglio dirvi. Nel film HAL 9000 impazzisce perché il suo potentissimo ma elementare sistema si-no non riesce a reggere l’ambiguità della menzogna per la quale è stato programmato: nascondere agli occupanti dell’astronave il vero scopo della missione, che è quello di raggiungere Giove sulle tracce del monolito; di fronte all’insensata doppiezza umana – sembra dirci Kubrick – la finalistica doppiezza binaria si disorienta, trasformando una stupefacente ed infallibile capacità di calcolo in una folle ed imprevedibile volontà omicida. Come se dell’hardware reagisse con cattiveria informatica alla cattiveria umana, mostrandoci così una materia capace di sentimenti. Ossia “viva”.
Chissà se un giorno potremo chiedere al nostro computer se preferisce le brune o le bionde ed ottenere una sua autonoma risposta. Qualcuno dice che quel giorno segnerebbe la nostra fine, anche se per fortuna la logica ci rassicura sul fatto che non potrà mai arrivare: della ferraglia inerte non può che eseguire i programmi che noi gli imponiamo. La natura insegna però che il male genera ribellione. Persino in una pietra, la quale appartiene ad un complesso molto più grande che nel suo insieme è vivo almeno quanto noi; il che ci spiega pure perché avvelenare il mare o il cielo è peggio che darsi una martellata sul mignolo. Quando David (l’unico astronauta superstite) riesce nella disperata impresa di salvarsi da Hal-Golia disattivandone la memoria, il mostro tecnologico si spegne regredendo progressivamente verso uno stato infantile; un preludio dell’analogo percorso che lo stesso astronauta dovrà compiere, procedendo a velocità impensabile attraverso i meandri spazio-temporali verso la propria morte, per poi risorgere come feto in gestazione nell’utero galattico di una nuova Umanità. Sarà che ho la fissa dell’astrologia, ma in tutto ciò mi sembra di ravvisare qualcosa di molto familiare: Nettuno-Pesci, che nella sua fuga verso la morte-follia-infinito è veicolo verso un neonato alternativo Universo. E ci avviciniamo finalmente alla spiegazione dello strano titolo che ho scelto per questo pezzo.
Come il mitico Odisseo, nell’attraversare gli oceani del proprio destino verso la via di Itaca l’Umanità deve resistere a dure prove ed ammalianti inganni. L’anestetizzante illusione della bontà assoluta della Scienza, con cui negli ultimi secoli l’uomo ha drogato i suoi crescenti dubbi crogiolandosi nell’autoconvincimento del proprio potere, è stata ormai spezzata proprio da quella luce razionale che avrebbe dovuto illuminarne le magnifiche progressive sorti: le moderne sperimentazioni scientifiche hanno ormai definitivamente smontato certezze già da tempo traballanti, mostrando una realtà ammantata di forme antitetiche per la cui comprensione è indispensabile attingere alla parte irrazionale-emotiva-sensibile del nostro intelligere. Quella dove forse risiede il nostro vero potere. L’uomo ultrarazionale ed ipertecnologico ha perso la sua sfida, e si contorce ammalato di presunta onnipotenza alla stregua di un vecchio disabile a un passo dall’ospizio.
Ma per fortuna la medicina c’è. È la stessa di David e di Hal, e ne parla già il Vangelo: tornare bambini; rimettere in funzione l’emisfero destro del nostro stupefacente cervello; tornare a credere in Babbo Natale, nelle favole, nell’astrologia. Se il sonno della ragione genera mostri, il sonno dei sentimenti genera guasti. Come quello che trasforma HAL 9000 in un assassino. Per questo il tornare all’ingenuità dell’origine funzionerà meglio di corni e giarrettiere rosse contro i tanti guai che ci pendono sul capo: terremoti, siccità, zii pedofili e grandi fratelli scemi.
Che il nuovo anno ci porti coscienza di ciò, e ci regali gli strumenti più idonei per continuare nel migliore dei modi la nostra meravigliosa Odissea.
Auguri, Ragazzi, Buon 2001!