Editoriale
Via Poma ultimo atto
Roma. Quella degli uffici dell’Associazione italiana ostelli della gioventà¹, terzo piano, scala B, di via Carlo Poma 2, viene chiusa con quattro mandate di chiave dopo le 18.30 del 7 agosto 1990, e nasconde il cadavere di una ragazzina di ventuno anni uccisa mentre sta lavorando. Ed è stato proprio un accanirsi contro un cadavere, forse un depistaggio, perché Simonetta è morta per un trauma cranico dopo aver lottato per tutta la casa (era agosto, Roma era semi-deserta, ma com’è possibile che nessuno, nel palazzo, abbia sentito qualcosa?).
Per il resto, l’appartamento è in ordine, pulito del sangue, gli stracci sciacquati e stesi nel bagno, un fermacarte, molto probabilmente l’arma con cui Simonetta è stata massacrata, pulito anch’esso e rimesso al suo posto sulla scrivania ( quel fermacarte, tanto per la cronaca, non fu mai analizzato). Subito Volponi chiama il 113, e dopo poco giungono sul posto tali Sergio Costa, vicequestore, e l’ispettore Gianni Pitzalis; sono i primi, tra le forze dell’ordine, a vedere la scena del crimine, ma non dovrebbero essere là , non entrambi almeno: Costa, infatti, giunto alla Questura da pochi mesi (è un ex capo del Sisde) dichiara egli stesso di ricoprire il ruolo di responsabile della centrale operativa che ha ricevuto la chiamata. Fatto strano, visto che il responsabile di una centrale operativa coordina le forze impiegate nella fase iniziale di un’indagine ma non si reca certo sul luogo del delitto; ancora più strano, poi, se si pensa che Costa è un vecchio conoscente di Salvatore Volponi. Qui si chiude la prima giornata del “giallo di via Poma” , qui si apre il resto della vicenda che riempie le pagine dei quotidiani fino alla fine di quella estate calda (e ad alterne vicende fino ai giorni nostri): il primo sospettato dell’atroce delitto è il portiere dello stabile, tale Pietrino Vanacore, che sarà anche l’unico a finire in carcere in quindici anni di misteri. Vanacore aveva le chiavi dell’appartamento, il suo alibi è contraddittorio, si mormora che sia innamorato di Simonetta e sui suoi pantaloni vengono ritrovate due piccole macchie di sangue. Gli investigatori, guidati dal Questore Umberto Improta, fanno due più due ed il 10 agosto arrestano Vanacore; l’uomo verrà scarcerato ventisei giorni dopo, perché nel frattempo le analisi sui pantaloni hanno rivelato che il sangue è suo. Gli inquirenti sono di nuovo al punto di partenza, ma con un mese di ritardo: cosi l’assassino ha preso vantaggio, ha avuto il tempo di far sparire definitivamente i vestiti di Simonetta ed ogni altra traccia che possa condurre a lui, di crearsi un alibi convincente (ammesso che il vero colpevole sia mai stato interrogato). Ed infatti le indagini si bloccano, lasciando irrisolti molti dubbi: che cosa significa quello strano appunto che è stato ritrovato nell’ufficio? E’ un foglio su cui è disegnato un pupazzetto e accanto tre parole all’apparenza incomprensibili “Ce dead ok” : l’ha scritto Simonetta o l’ha lasciato il suo carnefice? Perché non è mai stata effettuata una perizia calligrafica? E poi: la Cesaroni stava lavorando al computer ed è certo che alle 1730 di quel giorno ha telefonato ad una sua collega per chiederle una password di accesso ad alcuni files. Che cosa contenevano quei documenti? Durante le indagini si scopre che gli ostelli della giovent๠gestiti dall’associazione erano al centro dell’attenzione dei servizi segreti. Ma chi scrive ritiene molto improbabile che, seppure quella telefonata fece scattare un campanello di allarme per delle informazioni che non dovevano essere svelate, qualcuno abbia potuto, in solo un’ora (l’autopsia ha stabilito che la morte è avvenuta non oltre le 1830), raggiungere l’appartamento senza essere visto da nessuno, lottare con Simonetta ed ucciderla. Soprattutto, dopo, scomparire nel nulla senza lasciare traccia, anche stavolta non visto. Il giallo si rimette in moto un anno e mezzo più tardi, l’11 marzo 1992, carburante le dichiarazioni di tale Roland Voller, commerciante austriaco, presunto informatore della polizia e sospettato di collusioni con i servizi segreti. In quindici anni sono stati fatti sopralluoghi, indagini, ipotesi ed illazioni, castelli con le carte e montagne con i faldoni dell’inchiesta, accuse e smentite, ma non si è mai scoperto chi si sia messo in tasca la chiave di quella porta, e perché abbia colpito. Il cadavere di Simonetta Cesarino, dipendente della Reli Sas, viene ritrovato alle 23,30 di quello stesso giorno dalla sorella Paola, accompagnata dal fidanzato, e da Salvatore Volponi, datore di lavoro della ragazza, l’uomo che l’aveva mandata temporaneamente a via Poma, fuori dall’orario di servizio, “prestandola” all’Associazione ostelli; è per questo che Simonetta è sola in quell’appartamento, in quello che dovrebbe essere l’ultimo giorno di lavoro e che invece si trasforma nell’ultimo della sua vita. I tre sono andati a controllare perché allarmati dai genitori di Simonetta, che non l’avevano vista rientrare. Nel momento in cui quella porta viene aperta escono, come dal vaso di Pandora, dubbi ed interrogativi a non finire, molti dei quali ancora non hanno trovato una risposta. E’ Volponi a ritrovare il cadavere, dopo un veloce giro dell’appartamento (primo quesito: Volponi, durante ogni interrogatorio, ha sempre affermato di non essersi mai recato prima in quegli uffici; perché allora per farsi aprire aveva detto alla moglie del portiere “Signora, si ricorda di me?” ).
Simonetta è distesa a terra con le gambe divaricate, nuda ad eccezione di una canottiera di seta, il reggiseno arrotolato al collo ed un paio di calzini ai piedi, ma il medico legale potrà accertare che non ha subito violenza sessuale: l’assassino, però, ha infierito sul suo corpo con ferocia, ventinove coltellate profonde undici centimetri, graffi e morsi.
Voller accusa Federico Valle, ventenne, figlio dell’avvocato Raniero e nipote dell’architetto Cesare, entrambi residenti nello stabile di via Poma: Federico avrebbe ucciso Simonetta perché la riteneva l’amante del padre, con la complicità del portiere (di nuovo) che gli avrebbe fatto avere le chiavi e aiutato a ripulire l’appartamento, poi sarebbe rientrato a casa del padre senza essere notato. La storia non regge: la relazione tra la Cesaroni e Raniero Valle viene subito smentita, la ferita che Federico ha sul braccio non può essere provocata da un’arma da taglio, inoltre il ragazzo ha un alibi, così il 16 marzo 1993 il Giudice Antonio Cappiello emette sentenza di proscioglimento sulla base esclusiva delle prove scientifiche, negative per Valle come lo erano state a suo tempo per Vanacore. Voller dichiara di esser venuto a conoscenza dei dettagli della vicenda dalla madre del Valle, conosciuta per caso in seguito ad un numero di telefono sbagliato: considerato che la storia sembra alquanto improbabile, è ovvio che l’uomo è stato spinto da qualcuno (da chi?) ad accusare Federico Valle per sviare le indagini. Era necessario portare su una pista sterile gli investigatori, che magari stavano seguendo quella giusta: ma qual’era quella giusta? Perché, una volta appurato che il Voller mentiva, questa pista non è stata ripresa?
A tutti questi interrogativi rimasti irrisolti si sta tentando di dare una risposta nel terzo (e si spera ultimo) capitolo di questo romanzo di morte: le indagini riprendono il via nel 2004 da due punti differenti, e cioè le nuove dichiarazioni di Salvatore Volponi ed il ritrovamento di alcuni reperti tuttora all’analisi del Ris. Volponi, infatti, pubblica un libro dal titolo “Io, via Poma e Simonetta, tutta la verità ”, nel quale sostiene che la ragazza, da poco tempo, aveva un nuovo amore del quale nemmeno la famiglia era a conoscenza. Lui, invece, lo aveva saputo dalla nipote, amica di Simonetta; chi è quest’uomo? E’ il misterioso Death conosciuto tramite il Videotel, che rivendicಠin rete l’omicidio ventiquattr’ore dopo? O è qualcuno che la ragazza aveva conosciuto proprio nel palazzo, in uno di quei due pomeriggi a settimana di straordinari a via Poma? A queste domande, poste dal pm della procura di Roma Roberto Cavallone, Volponi non ha saputo rispondere. Le indagini che hanno invece chiamato in causa il Ris sono quelle sui reperti analizzati in modo sommario nel 1990 o addirittura nuovi, prima fra tutte la traccia di sangue rinvenuta sul lavatoio all’ultimo piano del palazzo. Potrebbe essere di Simonetta, e dimostrerebbe in modo incontrovertibile che l’assassino si è lavato là , prima di fuggire, seguendo un percorso che attraverso i solai ed il terrazzo permette di uscire sulla strada senza dover passare per l’androne principale (il che spiegherebbe perché nessuno lo ha visto uscire ma non perché nessuno lo ha visto entrare, e quindi si torna all’ipotesi di un colpevole interno al condominio). Ma potrebbe anche essere sangue misto, quello della ragazza mescolato a quello del suo omicida, e allora la si avrebbe una risposta certa e definitiva. Anche in questo caso, comunque, non mancano in punti oscuri: come è stata trovata quella macchia? Perché nessun investigatore, quindici anni fa, si spinse fino al lavatoio alla ricerca di indizi?
A disposizione degli uomini del reparto scientifico, inoltre, ci sono anche gli indumenti indossati da Simonetta, spariti dal repertorio delle prove e poi ricomparsi, sicuramente inquinati, l’anta di una libreria ed una cornice macchiata di sangue,una tazzina, un bicchiere ed un mozzicone di sigaretta. Le indagini scientifiche, come confermano dal Ris, sono lunghe e complesse, anche in virt๠del fatto che si tratta di reperti molto vecchi e non conservati come si dovrebbe. Ma sono anche l’ultima speranza che ha una famiglia distrutta di capire, dopo troppi anni, chi e perché ha ucciso in quel modo una ragazza così giovane: non ci sono più rivelazioni degne di nota, non ci sono moventi che meritino questo nome, non ci sono testimoni o scoperte che possano far leggere i documenti processuali con un paio di occhiali diversi. C’è solo quella traccia di sangue, poi, con ogni probabilità , calerà il sipario anche su questa replica del dramma di via Poma. Per capirne di più su questo caso, e conoscere anche il parere di un esperto, ne abbiamo parlato con Paolo De Pasquali, psichiatra e criminologo.
Dottor De Pasquali, da psichiatra, si è fatto un’idea circa il movente che può aver spinto l’assassino di Simonetta Cesaroni a colpire?
“Premetto che non mi sono occupato direttamente della vicenda, dunque le mie considerazioni sono esclusivamente frutto di quanto ho appreso dai giornali e dalla collaborazione con professionisti che hanno lavorato al caso. L’omicidio della povera Cesaroni è caratterizzato da marcate componenti sessuali: corpo nudo, lasciato dall’assassino in posizione lubrica, trafitto da 29 coltellate in zone erogene e agli occhi. Una possibile (e credibile) interpretazione di questi fatti indica il killer come un soggetto di sesso maschile, con gravi disfunzioni sessuali (impotenza), che ha ucciso dopo essere stato respinto dalla vittima e dopo aver tentato inutilmente di violentarla.
Infatti il coltello può essere psico-dinamicamente considerato un “sostituto fallico”, ossia, è un oggetto utilizzato da uomini impotenti o con gravi disturbi della sessualità , come indicato anche dalle parti del corpo attinte dalla lama: l’aggressore, che col suo pene non ha potuto penetrare i genitali della vittima, lo fa con il coltello, oggetto appuntito, come il pene eretto (che egli non può esibire). L’accanimento sugli occhi della vittima potrebbe indicare che il killer abbia voluto punirla per averlo guardato nel momento del suo fallimento: lui non vuole guardare il suo insuccesso negli occhi di lei. L’analisi della scena del crimine parla dunque di un omicidio non premeditato ma volontario, commesso da un uomo forte ed agile, che conosceva la ragazza, il condominio, che frequentava lo studio. E’ probabile che, dopo il delitto, sia stato aiutato da qualcuno che poi avrebbe dovuto anche aiutarlo, in un secondo tempo, a far sparire il corpo.”
Secondo lei, quali aspetti di questa vicenda hanno colpito l’opinione pubblica in modo particolare?
“Il pubblico è attratto principalmente dagli omicidi, soprattutto sessuali e familiari e dai “gialli”, ossia dai casi irrisolti. Nel delitto Cesaroni sono presenti tre di questi fattori: l’omicidio, la connotazione sessuale, l’assassino misterioso. A ciò si aggiunga che il delitto è avvenuto d’estate (altro topos della cronaca nera), a Roma, e in un ufficio sul quale grava l’ombra dei servizi segreti. Quindi tante piste diverse, tante ipotesi diverse, possibili depistaggi. Infine, tutti i personaggi della storia, particolarmente i più sospettati, sono assai peculiari.”
A breve, si avranno i risultati delle nuove analisi effettuate dal RIS, risultati che potrebbero portare ad una svolta nell’inchiesta. Pensa che bastino delle prove scientifiche a giungere alla verità o saranno comunque necessarie indagini (all’epoca dei fatti molto superficiali) sulle “personalità ” che popolano questa vicenda?
“In verità , le prove scientifiche, prese da sole, assai di rado bastano a risolvere un giallo. Non si può mai prescindere dalla ricostruzione logica di una cornice nella quale inserire le “prove tecniche”. Quindi queste ultime devono corroborare una ricostruzione della criminogenesi e della criminodinamica del delitto, altrimenti i conti non tornano. Per il caso in oggetto, sarebbe naturalmente un passo molto importante se si riuscisse ad individuare un codice genetico definito dal sangue reperito sui vestiti della Cesaroni e nel lavatoio del condominio. Questo codice genetico, raffrontato con quello delle persone sospette già individuato 15 anni fa potrebbe dirci finalmente il nome dell’assassino. Tuttavia quel sangue potrebbe appartenere anche ad una persona che all’epoca non era indiziata (le indagini non furono condotte bene) e allora la risposta del giallo sarebbe ancora lontana. E’ comunque indispensabile che ogni persona implicata nella vicenda sia nuovamente “vagliata” e che trovi una collocazione logica nel quadro del delitto, alla luce non solo delle nuove risultanze tecniche, ma anche di una “rilettura” più accurata delle testimonianze dell’epoca.”
LE INDAGINI SCIENTIFICHE
Conosciuti dal grande pubblico soprattutto per la fiction “RIS-Delitti imperfetti” , andata in onda su Canale5 lo scorso gennaio (e tratta dall’omonimo libro del Tenente Colonnello Luciano Garofano), i carabinieri addetti alle investigazioni scientifiche sono in realtà attivi da moltissimi anni. Fondato il 15 dicembre 1955, il RACIS ( Raggruppamento Carabinieri Investigazioni Scientifiche) è organizzato secondo un Reparto Addestramento, uno di Analisi Criminologiche vero e proprio ed uno Tecnico, che si occupa prevalentemente della sperimentazione e del controllo delle qualità delle tecniche stesse. Alle dipendenze del RACIS i quattro reparti del RIS di Parma, Roma, Messina e Cagliari che, così dislocati, coprono le indagini in tutto il territorio nazionale; ciascun reparto è articolato in sezioni responsabili delle singole branchie della criminalistica, quindi chimica e biologia, balistica, telematica, fotografia giudiziaria, grafica e fonica. Negli ultimi anni, l’intervento degli uomini del Ris è stato, se non fondamentale, sicuramente di grande aiuto agli investigatori per portare avanti le indagini ed ai magistrati per condannare o assolvere anche sulla base di logici ed inconfutabili dati scientifici. E’ stato proprio un “sillogismo scientifico”, per così dire, a far condannare in primo grado a trent’anni Annamaria Franzoni, accusata dell’omicidio del figlio Samuele.
E’ la mattina del 30 gennaio 2002 quando il bambino, tre anni, viene ucciso con diciassette colpi alla testa negli otto minuti scarsi in cui la madre si allontana dalla villetta di Cogne per accompagnare l’altro figlio allo scuolabus. Movente ignoto, modalità del delitto ignote, arma del delitto ignota: quindi, assassino ignoto. Fino al 19 luglio 2004, data della condanna, per cui Annamaria Franzoni ha ucciso il figlio in un raptus di follia dopo averlo portato nel letto della sua camera e prima di uscire con Davide, sei anni, con un’arma mai trovata ed identificata (ma come ha fatto la donna a farla sparire se si è allontanata solo per pochi minuti?). Quando gli uomini del Ris di Parma entrano per la prima volta in quella villetta, alle 13,45 del giorno successivo all’omicidio, la scena del delitto è stata irrimediabilmente compromessa dalle tredici persone che sono entrate ed uscite prima che venissero apposti i sigilli. Effettuano una trentina di sopralluoghi, esaminano quindici sacchi di reperti, analizzano trenta macchie di sangue: sono proprio le macchie di sangue a determinare, appunto, quel “sillogismo scientifico” per cui, visto che gli zoccoli presentano delle macchie di sangue impresse per proiezione (quindi erano indossati al momento dell’omicidio) e non calpestate da chi li ha indossati in seguito, e quegli zoccoli sono di Annamaria Franzoni, è lei la colpevole.
Ma molte domande restano ancora senza risposta (prime fra tutte quelle relative proprio all’arma del delitto), e può non essere condivisibile la condanna di una persona nonostante molti dubbi non chiariti e solo perché l’unica sospettata. I Ris, tra gli altri casi, sono intervenuti anche a Portofino, quando l’8 gennaio 2001 la contessa Francesca Vacca Agusta muore precipitando in mare da uno strapiombo, a Villa Altachiara, ma in questo caso le analisi e le indagini non incastrano nessuno: la contessa è davvero morta per una tragica fatalità , è scivolata su delle foglie bagnate ed è caduta in mare. Ed anche sulla base dei rilievi scientifici che il pm della Procura di Chiavari, Margherita Ravera, chiede nel 2004 l’archiviazione del caso, prosciogliendo l’ambiguo Maurizio Raggio, la confidente e dama di compagnia di Francesca, Susanna Torretta, ed il suo ultimo compagno, il messicano Tirso Chazaro. Come i Carabinieri, anche la Polizia dispone di un suo reparto di indagini scientifiche, la UACV (Unità di Analisi dei Crimini Violenti). Il percorso investigativo degli uomini della UACV si articola in quattro punti fondamentali (corrispondenti ad altrettanti settori denominati “progetti speciali”) che sono l’analisi della scena del crimine, sia in laboratorio sia in termini logistici, l’analisi delle informazioni e l’analisi del comportamento, di specifica derivazione e tradizione anglosassone. Tra i casi più tristemente celebri seguiti dagli investigatori della UACV c’è quello dell’omicidio di Marta Russo, ..ma di questo ed altri delitti ancora vi parleremo inseguito.
*Simonetta disegnata da Nida per Edizioni Damiano*
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- Silvia Vimercati