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Cristina Mazzotti, per non dimenticare
Sono per la certezza della pena: quella inflitta va scontata. Ci non significa che la pena debba essere eseguita in una specie di Guantamo. Sono contrario a una pena disumana o allisolamento. Ammetto una flessibilit se favorisce il recupero e, nella gestione di questa flessibilit, non coinvolgerei le vittime, dato che soltanto gli operatori sanno valutare come raggiungere il recupero. Non ne faccio una questione assoluta.il perdono? Mi sono opposto in tutta serenit alla domanda di grazia. (Eolo Mazzotti, zio di Cristina.)
Lestate del 2008, oltre che per la canicola, sar forse ricordata dai posteri, come la stagione della definizione di quei fatti di cronaca archiviati dalla Giustizia come irrisolti. Vicende di omicidi efferati che, nonostante le nuove tecnologie in uso e lassiduo impegno della Magistratura sono giunti ai nostri giorni, senza che si conoscesse n chi, n perch siano stati commessi. Dopo 6 anni sembrerebbe essere stato risolto il delitto di Cogne, dopo 18 il delitto di via Poma, dopo 25 il caso di Emanuela Orlandi, dopo 33 il caso di Cristina Mazzotti. Unimpronta digitale di un pollice, dimenticata negli Archivi della Polizia Scientifica di Roma, proprio in questi giorni riemersa e, con essa, un nome: quello di Demetrio Latella, il Boss del famigerato Clan degli Epaminonda. Siamo nel 1975. Pi precisamente, il 26 giugno 1975, quando Cristina Mazzotti, allora diciottenne, venne rapita nei pressi della villa dei genitori a Eupilio, in provincia di Como. Si apre per la famiglia, per gli inquirenti e per lintera Nazione uno dei casi di cronaca che ha maggiormente colpito lopinione pubblica: Cristina Mazzotti fu la prima sequestrata a morire per mano dellAnonima: unorganizzazione criminale attiva, in quegli anni, nel Settentrione dItalia. Cristina, quel 26 giugno 1975, stava rincasando, con una coppia di amici Emanuela e Carlo con cui aveva trascorso la serata ad una festa, organizzata per la sua promozione. I tre giovani viaggiavano su una Mini targata che, improvvisamente venne affiancata da altre due auto: una Giulia e una Fiat 125. Carlo, che era alla guida, fu costretto a fermarsi: un uomo mascherato, ad armi spianate, scese da una delle macchine e si avvicin chiedendo chi delle due ragazze fosse Cristina Mazzotti. La giovane si present e, immediatamente, venne caricata sulla Giulia, mentre un altro malvivente imbavagliava e legava i due amici della Mazzotti. Ci volle pi di unora, prima che Emanuela fosse in grado di liberarsi dai lacci e potesse, quindi, dare lallarme alle Forze dellordine. Scattarono, subitanei, posti di blocco ovunque, ma quellora di tempo fu fatale. Oramai era troppo tardi. Cristina Mazzotti era stata rapita.
Il giorno successivo il 27 giugno 1975 il telefono di casa Mazzotti squill, per la prima volta. Era la richiesta dei sequestratori: per riavere Cristina occorrevano 5 miliardi di Lire. Una cifra record, per quei tempi. Una cifra troppo alta per la famiglia. Il padre di Cristina, Elios, era un imprenditore comasco. La sua, sicuramente una famiglia agiata, il cui reddito, per, era ben lontano da poter assecondare la richiesta dei rapitori, che probabilmente, avevano fatto un errore di valutazione, sopravvalutando le capacit economiche dei Mazzotti. Dopo quella tragica telefonata, i genitori di Cristina, attraverso i media lanciavano un appello, i toni erano supplici e imploranti. Il messaggio molto chiaro: era impossibile, per loro, reperire una cos ingente somma di denaro.Seguirono minuti, ore, giorni di silenzio. Attimi interminabili, che si protrassero fino alla met di quel mese di luglio. Esattamente, il 15 luglio 1975, il telefono di casa Mazzotti, squill per la seconda volta: i rapitori, chiedevano, per liberare Cristina 1 miliardo di Lire. Il padre della Mazzotti, due settimane dopo, si rec, in gran segreto in un appartamento di Appiano Gentile e, qui, vi lasci la somma di 1 miliardo e 50 milioni, con la rassicurazione, da parte dei sequestratori, che la figlia sarebbe stata immediatamente liberata. Invece, di nuovo silenzio: la richiesta era stata assecondata, ma di Cristina non si ebbero pi notizie per un mese intero. Era il 1 settembre 1975 e il telefono di casa Mazzotti squill per la terza volta. Dallaltro capo cera Gianni de Simone, direttore della testata giornalistica di Como LOrdine, amico intimo della famiglia. A lui era toccato un gravoso compito. Dare la notizia che Cristina era morta e il suo corpo era stato ritrovato in una discarica di Varallino, un paese vicino a Sesto Calende. I Carabinieri erano giunti sul posto, allertati da una telefonata, in cui venivano date precise indicazioni: avrebbero dovuto scavare, in quella discarica, vicino ad una carrozzina rotta e l avrebbero trovato il corpo di Cristina Mazzotti. Altre indicazioni furono date da Libero Ballinari, un appartenente alla banda criminale dei sequestratori che era gi stato fermato in Svizzera, e che forn agli inquirenti una piantina del luogo dove fu sepolta la povera ragazza. Cristina, esanime, giaceva sotto una bambola rotta, il corpo in avanzato stato di decomposizione, il viso completamente sfigurato dai morsi dei topi. Presumibilmente, giaceva in quel luogo da oltre 40 giorni. Ma, la scoperta pi macabra fu unaltra: gli inquirenti dichiararono che dallautopsia non si era potuto rilevare, con assoluta certezza, se il corpo fosse stato sepolto quando la ragazza era gi morta. in altre parole, non si accanton, mai, lipotesi che Cristina, quando venne gettata nella discarica, respirasse ancora. Fu proprio quel Libero Ballinari che diede agli inquirenti le prime informazioni sulla prigionia e sulla morte di Cristina Mazzotti. Il Ballinari fu arrestato a seguito di una segnalazione giunta dal Direttore di una banca Svizzera in cui, si rec nel tentativo di riciclare una parte del riscatto versato: circa 90 milioni che aveva cercato di pulite, come si dice in gergo e che, invece, gli costarono larresto. Libero Ballinari raccont che Cristina era tenuta sotto leffetto di massicce dosi di droghe e sedativi. Le venivano costantemente date sostanze eccitanti per parlare con i genitori affinch pagassero il riscatto.
Poi, dei tranquillanti per sedarne le volont e per impedire che si agitasse. Secondo il Ballinari, ad un certo punto, stroncata dagli psicofarmaci, Cristina avrebbe avuto un malore e i rapitori si sarebbero spaventati al punto di trasportarla via. Durante il tragitto Cristina sarebbe spirata. Il Ballinari si dichiar ignaro delle cause che effettivamente portarono alla morte della ragazza, ma con le informazioni raccolte, gli inquirenti furono in grado di escludere che Cristina fosse morta per strangolamento o per un colpo di arma da fuoco. Nel 1980, Libero Ballinari, detenuto a Lugano, fu condannato dalla giurisdizione svizzera allergastolo con laccusa di avere partecipato al sequestro della Mazzotti e di averne, materialmente, sepolto il corpo. La polizia italiana, in poco tempo, riusc a ricostruire la banda dei sequestratori di Cristina Mazzotti: in tutto furono fermate 10 persone, accomunate da precedenti penali e da agganci con lanonima sequestri. Furono definiti sbandati, amanti della bella vita e del denaro facile. Uomini e donne che insieme accompagnarono, con modalit disumane, Cristina alla morte. Il leader del gruppo sembrava essere un tale Giuliano Angelini, trentanovenne che fu squadrista e trafficante di armi, indagato gi per la strage di Piazza Fontana e condannato per emissione di assegni a vuoto e truffa. Sembrerebbe fosse stato proprio Angelini a scavare, nel giardino della sua villetta, la prigione in cui fu tenuta Cristina Mazzotti, costretta a vivere sotterrata , in una buca, da cui veniva fatta uscire, di tanto in tanto, per sgranchirsi le gambe. Successivamente, Cristina venne trasferita a Galliate a casa di un altro esponente della banda: tale Rosa Cristiano, ventisettenne ex compagna di Angelini. Proprio qui, cominci lassidua somministrazione di psicofarmaci, che presumibilmente contribuirono al decesso di Cristina. Secondo le deposizioni, Rosa Cristiano avrebbe somministrato alla Mazzotti, dosi letali di Valium e, in modo staccato e disumano, avrebbe persino acquistato in un supermercato della soda caustica per far scomparire il corpo. Una donna definita dura e senza scrupoli che, secondo gli inquirenti, riceveva in casa un po troppe visite guadagnando in maniera comoda i soldi necessari per truccarsi e vestirsi bene, ma soprattutto per vivere la bella vita che amava tanto. Al loro fianco, una certa Loredana Petroncini: scappata di casa allet di quindici anni per convolare a nozze con uno sbandato, Luigi Gemmi, tipo poco raccomandabile, proprietario della gelateria sotto casa della Cristiano, Alberto Menzaghi, macellaio e Antonino Giacobbe personaggio di spicco dellanonima sequestri calabrese. Durante i processi emersero con estrema chiarezza le personalit degli imputati: gente senza scrupoli che usava i sequestri di persona come modo facile per fare soldi; persone sempre vissute al limite della legge, senza alcun valore umano e morale. Le condanne inferte furono pesantissime anche se non sufficienti per il reato commesso 8 gli eragstoli sentenziati dalla Magistratura, per espiare la colpa di una morte inutile. Ma questa tragica vicenda non era ancora finita. Furono arrestati Giuliano Angelini, ritenuto il capo e Antonino Giacobbe, il mandante, ma mancavano gli autori materiali del sequestro. Non tutti i colpevoli erano stati arrestati e non tutte le domande avevano ottenuto una risposta soddisfacente. Soprattutto, chi fossero quei 3 forse 4 malviventi che la sera del 26 giugno 1975 fermarono la Mini su cui viaggiava Cristina e che poi la portarono verso il suo tragico destino. Arriviamo ai giorni nostri, le indagini si riaprono e forse questa volta gli inquirenti saranno in grado di fornire anche i nomi di quei 3 (forse quattro) malviventi che strapparono Cristina dalla sua famiglia e dalla sua vita. Unimpronta digitale rimasta per 33 anni negli archivi della Polizia scientifica di Roma potrebbe rappresentare la soluzione del caso. Non appartiene a nessuno degli imputati fino ad ora raggiunti dagli inquirenti. LAfis, il sistema che individua le impronte digitali archiviate ne ha rilevata una che corrisponde a quella di un uomo con alle spalle, uninterminabile serie di precedenti penali.
LAfis un sistema Hardware e Software che consente di ridurre i tempi normali di acquisizione e catalogazione dei cartellini decadattilari e consente, altres, una ricerca rapida ed efficace delle impronte sconosciute attingendo ad una banca dati unica e informatizzata. Le impronte vengono codificate attraverso un algoritmo, che viene gestito dal Sistema. In Italia in funzione dal 1999 e contiene i cartellini segnaletici, comprensivi di dati fotografici e biometrici di circa 4 milioni di persone. Per un totale di 60 milioni di impronte. Una, di queste 60 milioni, era stata ritrovata sul cruscotto della Mini su cui viaggiava Cristina, quando fu rapita e venne archiviata dalle Forze dellordine in questo sistema. Era limpronta di un pollice. Era limpronta digitale di Demetrio Latella. Nel 1988 il PM Francesco di Maggio lo condann a 2 ergastoli come esponente degli indiani, la pericolosa e temuta banda dei Tebano (ndr. Tebano Epaminonda), ritenuta responsabile di 48 omicidi. Latella fu trattenuto in carcere fino a due anni fa e, poi, gli fu concessa la semi-libert. Alla vista dei tesserini delle Forze dellordine, lo stesso Latella, chinando la testa afferma: da giovane ho avuto cinque anni di follia e sono convinto che la galera mi ha salvato la vita. Che volete che vi dica? vero quellimpronta mia perch sono stato io.
*Fonti: Le due citt periodico mensile ufficiale dellAmministrazione Penitenziaria Quotidiano.net- www.pagine70.com Wikipedia*