Message in a Bottle
Ma poi, “comunichiamo” davvero i nostri colori? Secondo Jerome Liss, ideatore della Comunicazione Ecologica, si può imparare a comunicare. Vediamo come. Ognuno di noi comunica se stesso attraverso le sue parole, almeno questo dovrebbe essere. La realtà invece ci mostra comunicazioni a senso unico, dove nessuno attinge più dall’altro, vige l’arroganza di sapere tutto, anche quando non si sa nulla. Si parla, e troppo spesso a sproposito.
Si usano vocaboli di cui non conosciamo nemmeno il significato, ma li infiliamo lo stesso in un discorso, infiocchettando di nuova confusione quello che vogliamo dire e che finisce poi, col confondere i nostri interlocutori che a loro volta, fanno la stessa cosa. Il caos in un’iperbole della comunicazione: molto “barocca”, dove va bene tutto e il contrario di tutto, e genio e stupidità convivono benissimo, ognuno nella propria realtà.
La superficialità nei discorsi ha preso il posto delle belle e sane conversazioni che ci arricchivano. Se prendiamo la parola, diciamo solo cose scontate, approssimative o che fanno sensazione, nulla di veramente nostro. Parliamo con le parole di chi le “parole” le conosce bene, e le lancia, in un tam tam ripetitivo, cin forza, quasi fossero le proprie. Ce ne convinciamo, ma poi, stringi stringi, finiamo col ridurre, anziché arricchire la nostra “comunicazione”.
E questa “comunicazione” ci sovrasta, ci avvinghia, ci fa sua, ma è solo un gran frastuono. Siamo talmente presi dalla nostra voglia di comunicare che non diciamo più niente di interessante, nemmeno a noi stessi. Le nostre voci sembrano la replica dei copia incolla presi dai soliti siti che elargiscono “pillole di saggezza” che ripetute a chicchessia, creano un effetto sensazionale, ma lasciano sempre il tempo che trovano. Se imbastiamo una conversazione, non aspettiamo le risposte dell’altro, non ci interessano più di tanto, puntiamo all’autoaffermazione, al sopraffare con la parola: imperativo “comunicare”… ma con chi? Che importa, l’importante è fare la “battuta”, ma comunicare è altro.
Probabilmente non siamo ancora arrivati ad un punto di non ritorno, ma è anche vero che se non sviluppiamo un linguaggio più positivo, un pensiero comprensivo, e comprensibile soprattutto a noi stessi, come potremo mai fare critiche costruttive? Distruggiamo con le nostre parole qualunque discorso, lo impoveriamo con le solite banalità cui siamo soliti attingere dalla mattina alla sera, ma così facendo, allontaniamo, anziché avvicinare l’altro.
Ci manca la pazienza di partecipare attivamente al gruppo sociale, ed i colori con i quali ci presentiamo usando la comunicazione di tutti, saranno solo scuri. La comunicazione di tutti ti lascia solo, anche se sembra portare proseliti ai “non” discorsi e si finirà col sentirsi più soli, di quando abbiamo cominciato a comunicare. Comunicare è la cosa meno facile da fare per l’uomo di oggi, ed anche se questa affermazione può apparire una contraddizione, visto che utilizziamo la comunicazione a sproposito, continuamente, anche quando sarebbe meglio tacere, siamo ormai vittime di un automatismo che ci pervade tutti, e che mettiamo, come nel sociale, anche nella coppia. “Parlare” ha le sue regole, che disattendiamo continuamente e per riuscire a comunicare nel modo più armonioso possibile con gli altri, bisogna cominciare a riappropriarsi, oltre che del vocabolario di qualcun altro, anche del nostro.
La nostra voglia di “conversare” deve essere principalmente, il piacere di conoscere e stare con gli altri, non il contrario. Jerome Liss, psichiatra americano che si occupa di Comunicazione Ecologica, in un’intervista, spiega come invertire questa rotta, al fine di rendere la nostra comunicazione migliore e più appetibile per gli altri. Secondo il Liss, è giunto il momento di smetterla di fare quei lunghi discorsi che non portano da nessuna parte, ma generano solo interminabili discussioni, dove nessuno arriva a capo di nulla. Difatti, il suo metodo per riuscire ad avere una buona comunicazione, consiste nel puntare sulla positività delle differenze d’opinione, mai sul dogmatismo. Annullare la propria rivalità e mettere in campo più azioni comuni, egli invita ad organizzare meglio le nostre parole, affinché si riescano a centrare i giusti obiettivi.
Nello specifico, vediamo come organizzare la nostra comunicazione grazie allo studioso che ci indica alcune regole cui far riferimento per una corretta comunicazione.Cosa si deve e non si deve fare per comunicare al meglio?
Pollice verso per il “dogmatismo”.
Non abbiamo sempre ragione, non poniamoci mai come se fossimo i depositari del “verbo”. Le opinioni degli altri, possono convivere con le nostre e viceversa, senza bisogno di sovrapporle o schiacciarle, azzerarle per la foga di avere sempre ragione. Spesso la ragione non sta sempre nella propria bocca. Rispettare lo spazio comunicativo degli altri, senza imporre a tutti i costi il proprio, è il passo giusto per una sana comunicazione. Altro suggerimento dello psichiatra Liss, è quello di sviluppare il pensiero comprensivo. Cercare di organizzare le nostre proposte accanto a quelle degli altri, evitare il pensiero unilaterale, ma introdurre quello “multifattoriale.
Le frasi, che secondo lo studioso non portano da nessuna parte, devono essere evitate, “questa è l’unica soluzione possibile” o si fa violenza a chi riceve la nostra comunicazione, impedendone il fluire. In buona sostanza, non si deve mai dimenticare che ogni persona con la quale ci si rapporta ha una sua storia e porta con se, esperienze e argomentazioni che sono in sintonia con le proprie priorità personali, il prodotto di una vita e la sua individualità. E’ sempre bene tenere presente che le situazioni verso le quali intendiamo muoverci, devono essere viste da più angolazioni, ci si deve muovere, essendo consapevoli che sono complesse e mai ridurre il tutto ad un rigido bianco e nero. E’ importante tenere sempre presente vantaggi e gli svantaggi, guadagni e perdite, i più e i meno nelle situazioni in cui andiamo a muoverci. Jerome Liss nel concreto ci dice chiaramente che nel nostro vivere, meglio dire: “Non sono d’accordo, ho un’opinione diversa dalla tua”, mai “hai torto”, così facendo si cancella l’interlocutore, gli si impedisce di esprimere la sua opinione, lo si allontana, o ci si allontana…dalla comunicazione.
Altra regola citata dall’ideatore della Comunicazione Ecologica, è quella di imparare a fare critiche più costruttive. A cosa serve? Ad annullare quelle dinamiche che porterebbero inevitabilmente a ferirsi, a creare dei conflitti inutili. La dolcezza, un atteggiamento sereno sono gli indicatori ideali che dicono a chi ci ascolta: non ho nessuna intenzione di annientarti. La comunicazione risulta aggressiva, quando si vuole a tutti i costi “imporre” un pensiero, giusto o sbagliato che sia, l’imposizione è sempre un veicolo verso la solitudine della comunicazione. Certo è, che comunicare in modo sano, significa principalmente avere rispetto di se stessi e quindi, dell’altro. Dal momento in cui ci rispettiamo, e vogliamo davvero comunicare in modo sano, i nostri interlocutori, riceveranno in pieno l’informazione, e saremo sicuri che le nostre parole si approprieranno automaticamente di quelle sane regole che dovrebbero sempre essere applicate naturalmente.
Una buona comunicazione apre ad un mondo a colori, sempre e comunque! Ma nel momento in cui la si applica, colorerà tutto ciò che tocchiamo. Comunicare con l’altro è non è la cosa più difficile del mondo, se continuiamo ad essere le marionette su un palcoscenico dove altri muovono i fili della nostra vita.
L’imperativo è riappropriarsi della propria “identità”. Cosa significa riappropriarsi del proprio modo di comunicare?
Riconoscere i propri limiti, non volere a tutti costi comunicare ciò che non conosciamo.
Mai usare i copia incolla di frasi che non ci appartengono o delle quali nemmeno comprendiamo il significato, parlare per slogan, o ripetere ciò che non si è capito giusto per partecipare. Bisogna evitare di entrare in una comunicazione che non ci appartiene, piuttosto che arrangiare parole giusto per partecipare, perché prima o poi, la nostra limitazione salterà fuori e ci ferirà, perché saremo stati noi a volerlo. Chiediamo il perché. C’è sempre un perché quando decidiamo di essere le vittime predestinate della comunicazione. Entrando nel merito della Cinema Terapia, non si può non consigliare un film che proprio di comunicazione “parla”. “Message in a Bottle” è un film sulla comunicazione esasperata, totale, è stato definito dalla critica molto somigliante al discorso che si legge nelle pellicole del regista Truffaut dove l’ossessione di comunicare diventa priorità assoluta.
E’ da considerare un film sulla comunicazione e per la comunicazione, proprio per la solitudine che si evince dal vivere dei protagonisti. Qui, come paradosso, in un’era dove il comunicare non lesina di strumenti altamente sofisticati che vanno oltre l’immaginazione dell’uomo, Kostner punta il suo comunicare con il più antico strumento di comunicazione, il messaggio nella bottiglia. Notevole vero? Del resto, come si può comunicare con qualcuno che non c’è più? Nell’assurda comunicazione lanciata verso il nulla, arriva la vera comunicazione. Se leggiamo tra le righe questo film, ci rendiamo conto che il comunicare di oggi, non è niente, rispetto al comunicare di “ieri” che apriva paradossalmente e con strumenti più semplici a comunicazioni più vere e profonde.
Anche l’amore ha bisogno di riappropriarsi della sua comunicazione, ma per farlo, bisogna cominciare a spogliarsi del “so tutto io” e smettere di usare una comunicazione sociale anche nel privato. Il film parla di protagonisti di vita “vulnerabili” e che attraverso un rudimentale modo di comunicare, riscoprono il valore del “comunicare” se stessi. Nessuno di noi è un superuomo o una super donna, siamo solo uomini e donne con i nostri limiti, che possiamo superare solo specchiandoci nella nostra vita e non in quella degli altri. Nel farlo, riusciremo a comprendere che le differenze che ci fanno sentire inadeguati, sotto tono rispetto agli altri, sono solo grandi pregi che devono essere rivalutati, e mostrati, al fine di superare o “limiti” che ci impediscono di comunicare il vero di noi. In questo modo, riusciremo a dare il giusto colore alla nostra comunicazione, e facendola, coloreremo a tinte armoniose e piacevoli per tutti, la nostra vita ed uscire da quella solitudine che è mascherata da una comunicazione urlata ma distruttiva per gli altri e per noi stessi. Bisogna desiderare di comunicare, per il piacere di comunicare e non solo per “parlare”.