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Amatemi
Il film che ho scelto di analizzare è “Amatemi” una pellicola del 2004, regia di Renato De Maria, nella quale la protagonista della vicenda Nina (Isabella Ferrari) un’affascinante quarantenne, di punto in bianco viene lasciata dal marito. E’ chiaro che quando un uomo chiude una storia dicendo che non se la sente più, ed usando frasi simil-vigliacche, è perché dietro la verità c’è un’altra povera oca da illudere.
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Visto che considero la filmterapia un ottimo strumento di riflessione ed in certi casi di aiuto psicologico, ciò che viene narrato in Amatemi, è un copione che si verifica puntualmente nella vita reale. Il gioco che meglio spiega le dinamiche comportamentali di Nina è “Tu mi lasci, ma io non mi distruggo”. Nina attraversa inizialmente una fase di disperazione molto accesa che sottolinea il bisogno di elaborare il dolore per la perdita dell’oggetto d’amore. Nina trascura se stessa, non va più a lavorare, non si lava, resta a letto tutto il giorno. Una donna che perde un oggetto d’amore idealizzato si riduce in oggetto lei stessa, poiché l’assenza del suo amore, le ha risucchiato via tutta l’energia fisica e psicologica per reagire. In psicologia anche la non reazione di Nina, è chiamata elaborazione del lutto, in realtà con le lacrime oltre ad esprimere il dolore della perdita, da inizio a un processo inconscio di riparazione.
E’ da questo momento che inizia il “gioco” di Nina, segnato dal risveglio dei sensi, che coinvolge anche altri personaggi, marginali rispetto a lei che è la vera protagonista e in fondo, l’unica giocatrice. Le mosse principali di “Tu mi lasci, ma io non mi distruggo” sono :
1) Nina si guarda allo specchio e comincia a valorizzare il proprio corpo;
2) si butta nel mondo, esce da sola per conoscere degli uomini;
3) sperimenta un nuovo stile di vita;
4) scopre che si sta bene anche da sole.
Gli uomini che girano nell’universo di Nina, sono piuttosto insignificanti, delle brutte copie del marito, caratterialmente insicuri, vogliono solo sesso, ma questa volta è lei ad avere in pugno la situazione, non si lascia travolgere dalle emozioni e vive queste storie semplicemente come dei momenti di distrazione. In questo frangente di caos e sperimentazione, Nina ritrova se stessa e recupera la dignità che aveva perso inseguendo il marito, mentre andava a lavorare e supplicandolo in mezzo alla strada di tornare con lei. Gli uomini di Nina, sono come dei burattini, si credono forti e recitano il ruolo del macho, agiscono come predatori ma non lo sono. Presentano delle paure inconsce di castrazione, visto che non riescono ad opporsi alla forza caratteriale di Nina che in un certo senso si fa beffa di loro. Il “gioco” di Nina si conclude in modo non aggressivo, in quanto, se è vero che decide di essere libera, è altrettanto vero che è una scelta ragionata e sperimentata esclusivamente per se stessa e non per compiacere un uomo, non in funzione di un altro amante. Il regista spesso inquadra la protagonista che si sposta da un luogo all’altro a piedi, cammina molto, e simbolicamente rappresenta una ricerca interiore. Passo dopo passo, aumenta la sua consapevolezza di donna e comprende che avere un uomo imprigionato nella torre d’avorio delle sue frustrazioni, e che di conseguenza non sa amare, è superfluo. Insieme hanno condiviso l’adolescenza e l’età adulta, uniti da un rapporto di fiducia secolare, improvvisamente il compagno di mille certezze abbandona il tetto coniugale senza alcuna spiegazione.