Vignettopoli
migirounfilm: Harvey
Sento “Buonasera Signor Dowd!”, mi giro e vedo un grosso coniglio a ppoggiato ad un lampione. Ed io non mi stupisco, perché quando abiti in una città per così tanto quanto ci ho abitato io, tutti si conoscono per nome. ” Dalle tavole del palcoscenico di Broadway, nel 1950 Henry Koster rivisita il capolavoro di Mary Chase per una trasposizione cinematografica, che a quei tempi non mancò di suscitare le simpatie del pubblico e valse a James Stewart una nomination agli Oscar.
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Dalle tavole del palcoscenico di Broadway, nel 1950 Henry Koster rivisita il capolavoro di Mary Chase per una trasposizione cinematografica, che a quei tempi non mancò di suscitare le simpatie del pubblico e valse a James Stewart una nomination agli Oscar. La pellicola, magistralmente diretta da una punta di diamante del cinema americano, si presenta con un protagonista d’eccezione e beniamino del pubblico, tra gli attori più rappresentativi nel panorama cinematografico, che riuscirà a dar vita ad un personaggio surreale e alquanto strampalato che con il suo comportamento porterà confusione nella comunità nella quale vive, Elwood P. Dowd, un originale quarantenne che ama bere, poco avvezzo alla praticità della vita quotidiana, e che nel suo quotidiano, si racconta e conversa con un amico immaginario, Harvey, coniglio bianco che vede solo lui.
Nella storia, una sorella preoccupata e signorina molto avanti in età, che altri non ha di cui preoccuparsi che di Elwood, mossa dall’affetto che la lega al fratello, ritiene di dover fare qualcosa affinché questi possa guarire, e finalmente farsi una vita, sposarsi, avere dei figli, anziché esser dileggiato per le sue stravaganze dalla gente che li conosce. Decide quindi di rivolgersi in una clinica psichiatrica, per riuscire a trovare un rimedio, che le sarà proposto da un giovane medico, una “terapia d’urto” atta a normalizzarlo, ma con effetti collaterali ai quali il fratello andrà incontro.
Una prospettiva che fa riflettere la donna, che immaginando il fratello dopo la cura, somigliare sempre di più ai gretti cittadini della piccola città dove abita, finisce col decidere che l’idea avuta non le piace più. Per ironia della sorte, le sue incertezze e modo di fare corredato da innumerevoli gaffe, la porteranno ad essere rinchiusa al posto del fratello. La signorina Elwood (la Josephine Hull di “Arsenico e vecchi merletti”, film che contribuì a consegnarle un Oscar come miglior attrice protagonista), ormai convinta dell’inutilità della terapia, e certa della bontà d’animo del fratello, ha un unico desiderio, tornarsene a casa. Il fratello sistemerà tutto.
Bello il profilo che Elwood in due parole fa di sé al direttore della clinica con il quale s’intrattiene sulla questione Harvey: “Ho fatto a pugni con la realtà per trentacinque anni, dottore, e sono felice di affermare che ho avuto la meglio”. Una frase memorabile e che diventa il fiore all’occhiello del film, e accettazione dello stesso Harvey e della sua stravaganza di vivere. A questo punto anche il medico è contrario alla terapia d’urto, si convincerà dell’importanza di questo coniglio nella vita dell’uomo, provandone una bonaria invidia ed arretrerà sulla sua decisione. Elwood, avendolo intuito, per riconsocenza prega Harvey di restare con il medico, ritenendolo bisognoso della sua compagnia. Il film sembra chiudersi con la perdita dell’amico fantasma per Elwood, ma Harvey rimodificherà un finale che sembrava scontato.
Una commedia surreale, un po’ lenta cinematograficamente, ma mai noiosa. Ritrovandomi a chiacchierare con un’amica che cercava una “soluzione” per uscire definitivamente da un legame affettivo, che non le dava niente, e la gelosia di lui, sembrava essere una delle tante cause di questa insoddisfazione, le dissi: “Vedi, tu sei come la sorella di Elwood, ti si presenta la soluzione, bisogna solo metterla in pratica senza tentennamenti… ma la donna che fa?…Ci ripensa, e si dice che tutto sommato il fratello, seppur stravagante, era il minore dei mali, considerando la gente che le capitava di frequentare.”.
Come per la Elwood, la nostra amica con il partner si comportava allo stesso modo. Considerava, si che il legame continuava a creare malessere nella sua vita, ma nel momento in cui le si diceva di concentrarsi su se stessa, di riempire il suo quotidiano con pensieri ed attività che avrebbero spostato la sua attenzione dall’amato bene, verso la sua di vita, faceva un passo indietro. Perdeva quella convinzione di ristabilire il “contatto” con se stessa, ed evitava di recidere quel legame che non la portava da nessuna parte.”.
Se non si è certi di seguire una “cura” quale essa sia, inutile perdere tempo a chiedere la ricetta. Nel momento in cui si chiede senza convincimento, si cercano solo delle certezze che non si hanno, e che si sperano ti siano date come “conforto” da altri.
Talvolta chi chiede aiuto, non lo vuole veramente, ma apre un canale di comunicazione “compensativo” per sentire di meno la mancanza di qualcuno che non si vuole così com’è, e piuttosto che accettare la realtà dei fatti, si continua a ricamare sull’incredibile assioma: “non sarà il massimo, ma almeno un uomo ce l’ho!” Il vero problema di questa amica, è la sua insicurezza che fornisce una patente di credibilità alla sua richiesta di “conforto”, come la signorina Elwood, che voleva cambiare il fratello per soddisfare un bisogno che non era del protagonista del film, Elwood P. Dowd, ma solo suo.