MIGIROUNFILM
La città delle donne
Con questo film, si disse che Fellini aveva voluto mostrare il lato peggiore delle donne e il suo intento era stato quello di vendicarsi delle stesse, ma scegliendo una metafora zibaldone, come era suo solito fare, dove tutto è il contrario di tutto, e l’insieme ti appare come un grande circo dove si passa dal riso al pianto, ma ogni tassello di vita raccontato, ha una sua specifica funzione, seppur possa sembrare inserito a casaccio.
{play}images/stories/audio/lacittadelledonne.mp3|transparent[BGCOLOR]{/play}
La straordinaria forza fantastica del maestro rese possibile, ancora una volta, che la pellicola nelle sue mani, potesse animarsi e dar vita ad un bel “favolone” come lui lo definì, e nonostante le critiche contrastanti, il film gli consegnò un Nastro d’argento per la miglior regia. Per comprendere gli uomini e le loro attese, Fellini è sicuramente stato il più grande maestro di vita cui è stato, ed è possibile attingere. Si sente sempre Fellini, ogni volta che guardi un suo film, di fotogramma in fotogramma. Più la pellicola si srotola e scorre, e più si ha la sensazione che le scene a seguire, sveleranno sempre nuove chiavi di lettura del pianeta uomo. Un sapiente gioco di immagini e persone da festival dell’assurdo, che incredibilmente con il loro continuo innestarsi, quasi sgangherato, dai ragionamenti che sembrano voler affondare nel lato più ridicolo della vita, confezionano la chiave di lettura più suggestiva del cinema, e rappresentativa di un percorso penetrante e pensato.
Fellini, prende a prestito il cinema per raccontare se stesso, con le sue gioie e i suoi turbamenti, le sue sconfitte e i suoi limiti di vita sempre superati, qui, la sua grandezza di cineasta. Anche né La città delle donne, egli ritrae se stesso attraverso il suo alter- ego Marcello Mastroianni, che mostra un Felini in modo alternativo, pittoresco e un po’ inconsueto dal suo vivere. Dal biglietto da visita manifesto e che tutti conoscono e riconosco, ne presenta uno nuovo a nome Snaporaz, e si assiste così ad un sempre più vivido confrontarsi di Fellini/Mastroianni, grazie all’escamotage Snaporaz.
Un dialogo non più solo con se stesso, ma con un alter – ego che ha scisso la sua funzione proiettiva in due personaggi ben distinti: Mastroianni, l’attore, nel quale da sempre si è identificato idealmente, e Snaporaz, il Fellini che assurge ad un ruolo più malleabile e proponibile per la sua fantasia, dove la somma dei suoi pregi e difetti di uomo, è meglio assimilata dallo spettatore che poi, raccogliendo dal grande filtro umano Mastroianni, gradisce e si fa coinvolge. Walter Veltroni nel recensire il film, lo definì sfortunato, “viola”. Il colore nel mondo dello spettacolo è sempre sinonimo di sfortuna, e La città delle donne, per alcune vicende che si sono manifestate durante la lavorazione, ha fatto pensare ad una cattiva partenza del lungometraggio.
Nino Rota, non riuscì a scrivere le musiche del film a causa della prematura scomparsa che tolse a Felllini il piacere di un’ennesima musica capolavoro.
A Rota seguì un altro decesso, quello di un protagonista del film, Ettore Nanni, per uno sfortunato incidente con un’arma da fuoco. L’attore impersonava una specie di santone, circondato da donne, e dedito alla ricerca del piacere fine a se stesso. Ma il film punta su Snaporaz, un uomo ancora piacente, nonostante la mezza età che viaggia insieme alla moglie, verso una meta insolita e inaspettata, il pianeta donna, nel quale si troverà invischiato suo malgrado, imbattendosi nel raduno femminista. Un’orda al femminile, che si muove in modo scomposto, ma unite da un discorso di valorizzazione enfatizzato sull’essere donna. L’uomo Snaporaz, le ascolta, partecipa a questa novità, tenta di penetrare il misterioso pianeta, ma lo fa in modo leggero, poco interessato, dato che si trova li, per caso e per altro. Le donne che racconta Fellini formano sempre e solo una donna, la sua musa ispiratrice per eccellenza, e totalmente agli antipodi con le donne di oggi, in netto contrasto con la sua idealizzazione di maschio.
In questo film, da un lato Snaporaz, e il suo correre dietro ad una giovane viaggiatrice sul treno con lo scopo di volersi divertire a tutti i costi con lei, nonostante la moglie, e dall’altra le donne in odor di emancipazione, fortemente ridicolizzate nel loro incedere da Fellini, ma per puro desiderio di divertire nel raccontare il costume degli italiani che sta cambiando, senza la pretesa di salire in cattedra. La città delle donne, è una confessione tutta al maschile, irriverente, un po’ spietata e grottesca al tempo stesso, ma che evidenzia in chiaro il “cambiamento” di cui si accorge l’uomo Snaporaz, che vede la sua paura/impotenza: non essere più il “signore” di un harem idealizzato e mai superato, dove la donna che ci abita rappresenta tutto per lui, e ne soddisfa le “necessità”. Snaporaz comunica qualcosa alle donne, ma non parla con le donne…
- VIA
- nicdamiano