Il fascino kafkiano dell’uomo-belva!
Il tenebroso Benicio del Toro è il protagonista di “Wolfman”, una nuova pellicola horror, che sta raccogliendo molti consensi nelle sale italiane. Il film di Joe Johnston, narra la metamorfosi horror-Kafkiana di Lawrence Talbot (Benicio del Toro), un attore di teatro che ritorna nel villaggio natale di Blackmoor, per sostenere la famiglia in un tragico momento.
La vicenda ha inizio con la misteriosa morte del fratello di Lawrence, in seguito a delle ferite causate dal morso di un animale di grandi dimensioni e molto feroce. Gli abitanti del cupo villaggio, vivono in un clima di paura e diffidenza reciproca, le morti violente e inizialmente inspiegabili si susseguono ad un ritmo incalzante nei primi dieci minuti del lungometraggio. Una sera Lawrence, si incammina armato di fucile, presso un’area alla periferia della cittadina, richiamato da grida di aiuto, e assiste al sanguinoso attacco della belva, tenta di fermarlo ma viene a sua volta morso. Lui e gli altri del villaggio, comprendono che l’animale in questione è un lupo mannaro, una creatura per metà uomo e per metà animale. Lawrence cade in un sonno profondo e malefico, i deliri e le allucinazioni lo colgono impreparato, ed è costretto a restare nella casa del padre a Blackmoor, ritardando la partenza per Londra. La trasformazione per Lawrence in uomo lupo è in atto, il suo essere si tramuterà nelle notti di plenilunio, in una belva assetata di carne umana. Il destino tragico di questo personaggio, è interpretato dal talentuoso Benicio del Toro; in modo perfetto, i suoi occhi portoricani cadono profondamente nell’anima dello sventurato Lawrence che contro ogni possibilità di salvezza, cerca di lottare, di annullare il male che è dentro di lui. L’antica leggenda del lupo mannaro ritorna a vivere sullo schermo, e riesce a catalizzare l’interesse dello spettatore. Qual è la ragione che spinge le persone ad innamorarsi letteralmente di questo genere di film? La mia non vuole essere una critica morale verso il genere horror, piuttosto penso che sia interessante analizzare i fattori che in un film come Wolfman, inducono lo spettatore a “fare il tifo” per il cattivo.
Il sangue, gli smembramenti, parti del corpo umano lanciate in ogni direzione e l’efferata crudeltà dell’uomo lupo che non si lascia commuovere dal pianto di un neonato o dalle grida di una madre disperata, sono immagini raccapriccianti, che non lasciano spazio all’immaginazione. Il regista le utilizza senza riserbo e ci mostra il totem della nostra generazione, simbolicamente rappresentato questa volta dal lupo mannaro, un animale che incarna qualità fisiche soprannaturali: la forza, la velocità, l’udito e la vista sono più sviluppati, e che è per metà uomo. Il lupo totem, è indistruttibile nel suo lato animale ma debole in quello umano.
L’identificazione con il lupo mannaro, conduce Benicio/Lawrence a ricordare il trauma dell’infanzia, a rivedere come in un filmato, il corpo della madre insanguinato nel giardino di casa, esamine fra le braccia del padre che la cingono in un ultimo abbraccio. Ora che il lupo totem si è incarnato nel corpo dell’uomo, il protagonista comprende le ragioni che spingono John, il padre edipico, a nutrire ostilità verso il figlio. Lawrence vuole vendicare la madre che non c’è più, uccisa dal padre/lupo, quest’ultimo consapevole della sua colpa, alimenta la rivalità edipica con il primo morso, favorendo così in Lawrence la mutazione, e quindi costringendolo a uccidere per l’eternità. Lo scontro finale fra padre e figlio, simbolicamente rappresenta la lotta per l’amore della madre, oppure in termini più contemporanei lo scontro generazionale e caratteriale fra i valori consolidati del padre e quelli ibridi del figlio.
Un altro elemento di attrazione, è delineato dall’unica figura femminile della vicenda, Gwen, la fidanzata del fratello defunto di Lawrence. La fragilità interiore e la dolcezza della donna, la rendono vulnerabile agli occhi dell’uomo lupo, secondo la leggenda soltanto il suo amore potrà salvarlo dalla maledizione, e liberarlo dalla belva interiore, o dal male oscuro dell’anima. Potrebbe essere una metafora de l’amore puro, in grado di risollevare la sorte di un uomo affetto da grave sindrome depressiva, oppure semplicemente il destino avverso di chiunque desideri un oggetto d’amore che nella realtà non può avere. L’amore fra Gwen e Lawrence è disperato, sofferto. Entrambi sollecitano nell’altro un istinto salvifico: Gwen essendo innamorata, è convinta di poter liberare Lawrence dal suo male ( nevrosi, depressione…), Lawrence per la stessa ragione, crede di sapere controllare i suoi istinti cattivi ( rabbia, infedeltà..) e tenta, con scarsi risultati, di proteggerla.
L’horror di Johnston, suscita un sentimento di comprensione verso Lawrence, combattuto nella morsa di un’ambivalenza di sentimenti opposti : amore e odio, uccidere e non uccidere, dipendenza e ribellione. Ancora una volta, questi temi dell’immaginario cinematografico, sollecitano riflessioni e forse anche un sentimento di empatia , che motiva nello spettatore la speranza che l’uomo lupo si salvi, annulli il dolore per far posto all’amore e alla giustizia, e risolva i conflitti con il padre. Niente di tutto ciò accade, la rinascita di Lawrence è dolorosa, e dopo aver morso accidentalmente il capo di Scotland Yard, (nel finale del film) forse il regista ci vuole dire proprio questo, che ciò che non viene alla radice estirpato, come un conflitto familiare non risolto, ritorna sempre a galla.