Vignettopoli
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Era da poco iniziato l’anno 2010 quando su tutti le televisioni è stato documentato un fatto di cronaca che a prima vista non aveva nulla di eccezionale rispetto alle tante notizie che affollano tiggì e giornali. A Rosarno, una piccola cittadina che si affaccia sulla Piana di Gioia Tauro, qualche esagitato ha sparato e sprangato due cittadini extracomunitari ferendoli in modo non grave.
Ecco che, di per se, a questa notizia sarebbe stato dedicato un minuscolo trafiletto, se non fosse stato per il fatto che i compagni di sventura di questi due malcapitati hanno deciso che la misura era colma e a centinaia sono scesi per strada riversando la loro rabbia sul già menomato centro calabrese. La notizia ha quindi acquisito valore e risonanza mediatica: come, degli extracomunitari si permettono di venire qua e spaccare tutto a loro piacimento?
Per diversi giorni i maghi dell’informazione hanno scritto fiumi di articoli e editoriali, hanno inviato reporter d’assalto sul posto per documentare in presa diretta l’evolversi della situazione, mentre talk-show serali dibattevano con opinionisti d’eccezione sulla questione. E per come vanno le cose in questo Paese alla fine tutto si è risolto catalogando la questione in virtù del fatto che l’osservatore possegga una logica di destra o di sinistra. Tante cose sono state dette e scritte, si è parlato di criminalità organizzata, di razzismo, di difficile convivenza tra italiani e stranieri, e tanto altro.
Ipoliticanti di turno si sono affaccendati nel riportare i fatti permeandoli a seconda delle proprie logiche di schieramento, focalizzando il nucleo del proprio pensiero sulla questione della legalità e dell’immigrazione clandestina da un lato (destra), sulle inumane condizioni lavorative e di vita di questi figli di nessuno dall’altro (sinistra).
Ora il punto non è se la questione sia di destra o di sinistra (ancorché abbia ancora una logica questa nostalgica dicotomia), ma su come si è risolta questa spiacevole vicenda. Ancora una volta, il problema è stato risolto all’italiana. Difatti lo si è spostato, trasferito dove l’occhio cinico dell’informazione non può più documentare l’accaduto e dove il pigro occhio del cittadino non andrà a curiosare. Con una vera e propria deportazione, gli immigrati (clandestini e non) sono stati “trasferiti” in centri di accoglienza della regione Puglia. Problema dunque risolto. Cittadini di Rosarno contenti perché non dovranno più avere a che fare con la bestialità di questi africani; ‘ndrangheta soddisfatta perché ogni tanto un ricambio di “forza lavoro” nella raccolta sui campi non guasta mai; organizzazioni criminali esultanti di modo che in questo periodo di crisi potranno tornare a gestire i traffici di esseri umani per nuova manovalanza; istituzioni gaudenti perché hanno mostrato fermezza e pugno duro nel gestire la situazione. Si lo so, all’appello manca qualcuno, gli immigrati.
Perché qualcuno li considera come esseri umani e quindi meritevoli di qualsivoglia attenzione? C’è veramente qualcuno che pensa che un uomo possa essere definito tale quando lavora per 15 ore al giorno per 1 € all’ora? Qualcuno pensa sia normale il dover vivere ammassati in scatole di cartone come animali randagi? Penso che ogni persona sana di mente abbia in se le risposte più idonee a certi interrogativi.
L’Italia è un paese relativamente giovane per quanto riguarda i flussi migratori in entrata. A differenza dei nostri concittadini europei inglesi e francesi che da diverse decadi si affaccendano tra multiculturalismo e assimilazionismo in conseguenza del loro passato coloniale, gli italiani faticano a trovare un punto di incontro con l’immigrato. Tra i tanti problemi che viviamo in questa era definita metafisicamente post-moderna, quello del rapporto con l’Altro è sicuramente il più intricato. In questa moderna società, caratterizzata da incontri ed esperienze “mordi-e-fuggi”, il rapporto con l’Altro è diventata una prerogativa imprescindibile per chiunque. Imparare a relazionarsi con degli sconosciuti, di provenienza socio-culturale estremamente diversa, ci pone di fronte al quesito del rapporto che intercorre tra noi e tutto ciò che ci circonda. Mai come negli ultimi decenni il nocciolo della questione della relazione con l’Altro è stata così presente nella nostra quotidianità.
La moderna società multiculturale di oggi si è estesa oramai a tutti i livelli. Quindi non solo metropoli o città in cui convivono tradizioni e culture appartenenti alle etnie più disparate, ma anche piccole realtà che si trovano di fronte a individui che fino a quel momento avevano visto di rado o solamente alla televisione. Dieci-quindici anni fa lo stereotipo dell’immigrato era il classico venditore africano che suonava ai campanelli delle nostre case. Ora lavorano a fianco a noi in fabbrica, li incontriamo al supermercato, li vediamo in giro per le strade. Cosa è cambiato? Perché queste persone hanno abbandonato il loro paese d’origine per trasferirsi nella nostra realtà sociale? La risposta, anzi le risposte, vanno ricercate nei motivi universali che spingono e hanno spinto tutte le persone di questo mondo ad emigrare in altri paesi: povertà e guerra. La ricerca di un posto migliore dove vivere è quindi la prerogativa essenziale del migrante che agli occhi della popolazione locale è etichettato come “Altro”.
Il problema che ci troviamo di fronte è importante: nessuno può costringere nessuno a riconoscere o ad accettare un’altra alterità. Ed è questo il motivo per cui nascondiamo gli immigrati, li facciamo vivere in quartieri ghetto, li chiudiamo in baracche fuori dal nostro campo visivo e per ultimo li portiamo via, dove non possiamo più vederli. È attraverso la vista, l’occhio, l’immagine, che riusciamo a riconoscere l’Altro. Essere visti da altre persone fornisce quel riconoscimento effettivo ed affettivo di cui ogni essere umano necessita per potersi relazionare. Viceversa senza relazioni non c’è dialogo né socialità. La paura dell’uomo moderno va ricercata nel timore che il nostro stato di benessere precostituito, una volta turbato da fattori esterni, possa minacciare la solidità del nostro Io, mettendo così in crisi i mutamenti strumentali della realtà e facendo così affiorare concretamente la relatività dei propri valori. Nascondere ci renderà solo la vita più difficile.
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