COME MAI NELLA STORIA DELLA FILOSOFIA NON COMPARE MAI UNA DONNA?
“Come mai nella storia della filosofia non compare mai una donna: che cos’è questo essere messo fuori gioco? Forse che la donna navighi in regioni non eccessivamente logiche che mettono paura agli uomini? Queste sono domande che io mi pongo” E’ Umberto Galimberti, uno non maschilista (anzi, proprio per niente) che consegna questo dubbio alla Striscia Rossa Dell’Unità.
E in questi tempi di gran casino in cui si fa fatica a rintracciare il minimo segno di buon senso, vale la pena estraniarsi dalle comiche finali con relative torte in faccia di quasi-fine legislatura e provare a ragionaci sù. Senza presunzione, che la presunzione è la peggior nemica del pensiero, lo so anch’io che non so niente. Si potrebbe rispondere a Galimberti “E allora Ipazia d’Alessandria, Ildegarda di Bingen, Margherita Porete, Simone Weil, Hannah Arendt, Luisa Muraro, ecc. ecc. Che, mai sentite nominare?” Ma non sarebbe una gran risposta. Perché ha ragione: sono rondini senza nido e sono troppo poche per fare primavera. Sono stati sempre gli uomini a popolare il cielo della filosofia. L’hanno inventata loro 2500 anni fa in Grecia e l’hanno pensata come una grande costruzione logica da cui è bandita la sensibilità.
La conoscenza per Platone era una regione dove le cose hanno contorni netti e non ci puoi accedere con tutto te stesso, ti devi liberare di due zavorre: 1) del corpo. Il corpo ti svia, è traditore, non puoi fare affidamento sui sensi, ognuno i suoi occhi e angoli diversi da cui guardare; 2) della soggettività. Lascia perdere i tuoi sentimenti, le tue passioni, gli amori e gli odi che ribollono nel sangue, sono umori instabili e vischiosi che offuscano la luce neutra, eterna e immutabile della verità. Quindi il cammino dell’uomo verso il progresso iniziò liberandosi a poco a poco di questi due fardelli, ad ogni pezzo di strada l’uomo abbandonava un pezzo di sè. Il secondo balzo lo fece con il metodo scientifico moderno, che ridusse tutte le cose a simboli astratti: l’acqua è H due O, non il mare in tempesta, il fluire lento del fiume, il lago che specchia i monti, il fragore della cascata. Tutta la meraviglia della natura ridotta a formule. E poi venne il tempo dell’economia, che tagliò all’uomo qualche altro pezzo di sé: il mercato del lavoro cosa considera, le biografie degli uomini, le loro passioni, i loro sentimenti, o le loro “prestazioni oggettive”? E poi venne il tempo della tecnica, il nostro tempo. Le vite delle persone incasellate in un immenso apparato come in un alveare, dove ognuno ha il suo posto, il suo compito e la sua responsabilità limitata a quel ristretto ambito che corrisponde alla sua funzione. L’umanità ridotta ad oliare una macchina che deve funzionare senza il minimo spreco. E la vita, che è generosa, rigogliosa, ridondante, che straripa ovunque le sia consentito, nello spargere semi sulla terra come nelle parole dei sentimenti, costretta all’avarizia dell’efficienza che riconosce solo l’essenziale. E l’avventura della razionalità, iniziata 2500 anni fa tra le colonne bianche di Atene per guidare l’uomo sulla strada del progresso, alla fine li ha condotti in una radura arida e spoglia. In cui domina la tecnica con i suoi ingranaggi tarati al millimetro che non possono essere inceppati da granelli di umanità. Ecco, questa cosa qui l’hanno pensata, gestita e perfezionata gli uomini.
E’ un libro i cui capitoli fondamentali sono stati scritti da uomini, le donne hanno potuto aggiungervi solo qualche nota a margine. E sono state quasi sempre voci in controtendenza, tentativi di disarticolarne la linearità introducendovi il linguaggio dei corpi, che sussurrano e urlano le loro gioie e le loro passioni. Ci sarebbe da piantare qualche albero in quella pianura arida e spoglia in cui è approdato il pensiero occidentale, incapace di pensare un modello alternativo alla logica funzionale all’apparato tecnico globale che contrassegna il nostro tempo. E’ oramai un pensiero a rimorchio e non alla guida dei processi, è imprigionato in un percorso definito dalla tecnica che è cresciuta a dismisura fino a ribaltare i ruoli. Nata come mezzo per risolvere i problemi, adesso è lei a porre i termini dei problemi, e li pone nell’unica maniera che conosce: quella dei computer, rispondi al quiz vero/falso se no i circuiti saltano. E’ la miseria del pensiero, che era nato da un’altra promessa: quella di scavalcare ogni orizzonte, di oltrepassare ogni colonna d’Ercole. Bisognerebbe esplorare nuove regioni della mente, quell’immenso campo che è al di fuori degli stretti confini della logica, dove gli uomini non osano avventurarsi (ecco che cosa voleva dire Galimberti, grazie amico, devi avere una componente femminile veramente robusta dentro di te per ammetterlo) e dove invece le donne possono osare. Quelle regioni dove non brilla la luce fredda e neutra della ragione, ma il chiarore soffuso dei crepuscoli, che addolcisce le forme, smussa gli angoli, curva le linee. Forse è arrivato il momento che filosofia impari a parlare una lingua materna. Forse è arrivato il momento delle rondini che portano la primavera.
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- Lucia Del Grosso