Vignettopoli
“Consumo è cosa buona, consumismo è cosa patologica”.
“Il cliente, il pubblico è come un bambino di undici anni, nemmeno tanto intelligente”. S. Berlusconi.
Siamo nell’era in cui vogliamo tutto e subito e le moderne tecnologie ci aiutano ad ottenerlo senza neanche troppa fatica. Contrariamente, a quello che accadeva ai tempi dei nostri genitori e dei nostri nonni, non compriamo in base ad effettive necessità e reali capacità di spesa, bensì sulla irreale e distorta coscienza che poi pagheremo. Compriamo casa, andiamo in vacanza, compriamo l’auto, il frigorifero e tutto quanto ci va di acquistare senza averne una reale necessità, ma nella consapevolezza che pagheremo, poi, qualche euro al mese. Ci troviamo di fronte al paradigma, moderno, del pagamento a rate. Comprando continuamente nell’illusione “del poi”, però, i pochi euro al mese diventeranno centinaia se non migliaia e la resa dei conti presto o tardi arriverà: quel poi apparentemente così lontano al momento dell’acquisto, quando arriverà sarà per molti – se non per tutti – l’inizio della fine. Probabilmente, la maggior parte di noi, consumatori moderni, si troverà coperta di debiti senza nemmeno avere più quel lavoro necessario ed indispensabile per soddisfare chi ci ha concesso il credito.
Negli anni ’70 l’economia americana e dei Paesi dell’Europa occidentale subì un fortissimo periodo di espansione: diminuirono le diseguaglianze economiche e, con questo profondo cambiamento sociale, la cosiddetta domanda cominciò a crescere in maniera incontrollata ed irrazionale. Si comperava non più per soddisfare una reale necessità, ma solo per il gusto di poterlo fare. Da allora, il mezzo di pagamento non è più il denaro reale accumulato “sotto il materasso” o nel salvadanaio, ma è diventato il ricorso al credito.
Comincia, così, a comparire nei portafogli della nuova borghesia la carta di credito. L’illusione, racchiusa in un microchip incastonato in un pezzetto di plastica di poter comprare senza disponibilità immediata di denaro. Il pagamento “in contanti” è diventato inconcepibile, obsoleto – forse oggi, impossibile – si paga con la carta di credito. Ma, attraverso di essa si perde – sempre più di frequente – la reale concezione del denaro e, soprattutto, l’importanza di averne una reale disponibilità. Secondo vari sondaggi condotti, la maggior parte degli intervistati ha ammesso di concedersi qualche capriccio in più solo perché possiede la carta di credito, che altro non è che un finanziamento a tutti gli effetti. La cosiddetta moneta elettronica viene emessa, generalmente, da un istituto di credito e ci permette di acquistare, oggi, quello che pagheremo il mese successivo e, magari, anche a rate. Ne esistono di innumerevoli tipi, esteticamente sempre più glamour, ma sempre meno persone possono permettersi di possederne una. Stiamo vivendo una crisi mondiale causata probabilmente, anche, dall’eccessivo ricorso al credito da parte di chiunque. Siamo diventati – quasi – tutti “cattivi pagatori”, secondo i canoni della tanto decantata “centrale rischi” delle banche, dunque non più capaci di ottenere, nemmeno, la carta di credito. Nessun tipo di finanziamento ci può essere più concesso. Eppure, fino a qualche anno fa, solo perché diventavamo correntisti di una banca ci veniva fatta pervenire a casa, senza nemmeno che la chiedessimo.
Oggi cosa è cambiato? Perché non ce la concedono nemmeno se la chiediamo? Cari Lettori, forse, perché continuando a ricorrere al credito abbiamo esaurito la – vera – moneta liquida e non ci sono più soldi. Pensiamo alle banche stesse. Si sono trovate a prestare più denaro di quanto ne avessero nelle casseforti. Per ovviare al problema – attenzione, non per risolverlo – hanno incominciato a chiedere prestiti alle cosiddette banche d’affari. Queste ultime altro non fanno che cercare investitori, che versano denaro solo su richiesta. Al momento della richiesta, gli investitori, si fanno prestare a loro volta denaro da altre banche. Così facendo circola carta, non denaro contante. Si crea un castello di pura carta, si crea il mercato finanziario.
Prima si investiva nelle società: si versavano soldi e si dividevano gli utili alla fine dell’anno, incassando altri soldi. Oggi, le cose sono radicalmente cambiate, non solo si fa girare carta ma i soldi non vengono più stampati dalla Zecca di Stato. Pensiamo alle aziende: sopravvivono sul ricorso al credito, nella speranza di vendere il loro prodotto. Se anche dovessero riuscire a piazzare sul mercato quanto da loro offerto, non possono chiederne il pagamento immediato perché la prassi oramai consolidata è il pagamento “60-90 giorni fine mese”. Se i clienti di queste aziende non dovessero pagare i loro debiti significa che presto o tardi queste imprese falliscono, creando l’effetto domino ad altre aziende ad esse collegate. Il risultato è quello che vediamo oggi: aziende che chiudono, persone disoccupate e mancanza di denaro.
Pensiamo allo Stato. In situazioni di crisi, come quella odierna, il Governo è costretto ad intervenire in qualche misura, ma soldi non ne ha. Aumenta le imposte, ma soprattutto, emette buoni del tesoro: emettono denaro senza copertura. Si chiama inflazione. Il sistema è viziato e forse con gli esempi riportati, incominciamo a comprendere meglio il perché, oggi, le banche fanno fatica a concedere, anche, la carta di credito e non solo i mutui (se non a tassi spaventosamente alti). Ultimamente, abbiamo visto nascere un “surrogato” della carta di credito: la carta prepagata. Sicura sotto ogni punto di vista ma una bufala a tutti gli effetti. Con esse siamo costretti ad usare soldi reali quindi, di conseguenza ci si impone una certa oculatezza nei consumi. Spendiamo perché abbiamo a disposizione il denaro necessario.
Non è più definibile “moneta elettronica” ma è un portafoglio elettronico dove riponiamo i nostri risparmi, fino a un limite che si aggira intorno a cinquemila euro. Con esse possiamo acquistare tranquillamente anche on line senza il timore che “il pirata informatico di turno” possa beneficiare fraudolentemente del nostro conto corrente bancario.
È più sicura rispetto al classico portafoglio, perché in caso di furto può essere bloccata come una normale carta di credito, limitando al massimo il danno. È gradita ai giovani che la possono ostentare in ogni dove grazie al contributo di papà e mamma, che a loro volta possono controllare come i figli dilaniano i loro risparmi. Di contro, queste carte non sono così convenienti come vogliono farci credere.
Ogni crisi premia l’intraprendenza, anche quella dei “furbetti”. Le banche e chi le gestisce non vogliono certo perdersi la possibilità di campare lo stesso. I correntisti diminuiscono – siamo cattivi pagatori – e con loro le commissioni che ciascuno di noi paga ogni volta che varchiamo la porta di accesso di una banca. La voce elettronica che ci impedisce di entrare per qualche oggetto di metallo per poco non ci chiede 5 euro per il disturbo!
Oggi giorno prima di aprire un conto corrente (ovviamente senza chiedere scoperti, altrimenti ci invitano ad uscire) rischiamo di dover fare una “tac” che metta in luce non solo chi siamo ma tutto quello che abbiamo fatto dal nostro primo vagito al momento di ingresso in banca. Se non portiamo noi il “referto”, nessun problema ci pensa la “centrale rischi”. Il castello di dracula abbarbicato su un colle nero attorniato da un fossato colmo di coccodrilli pronti a sbranarci non appena chiediamo “vorrei aprire un conto corrente”. “La banca intorno a te” è solo la pubblicità in televisione; il mutuo concesso alle giovani insegnanti squattrinate che sognano un asilo nido è uno specchietto per allodole. Quando entriamo in banca o siamo Ennio Doris oppure Maristella Gelmini, oppure ci accontentano con la carta prepagata: fonte di quelle commissioni che riparano le voci “in perdita” nel bilancio della banca stessa. Una bufala che al momento ci è presentata come un servizio. Anzi ci è offerta come un servizio in più che la banca ci sta offrendo, come se ci stesse facendo un favore: tesserine con i cagnetti della Carica dei centouno, con i paesaggi di Monet che ci fanno dimenticare il concetto sottostante l’emissione della prepagata: se hai i soldi usali, altrimenti non contare sulla banca. Intanto però comincia a pagarle il disturbo!
Paghiamo commissioni per l’apertura della carta prepagata, per il prelievo e per ogni ricarica che facciamo. Variano da 1 euro a 5 euro. Se dovesse esserci sottratta dobbiamo nuovamente pagare commissioni che, questa volta variano da un minimo di 5 euro ad importi ben maggiori (leggiamo attentamente il contratto, per evitare sorprese, nella certezza che la nostra banca ha sempre ragione); nel caso di rimborso di quanto c’è rimasto sopra, per estinguere la carta, dobbiamo esborsare 10,50 euro.
Dunque, se pensassimo di fare acquisti in internet e di ricaricare la carta ogni mese forse ci renderemmo conto che proprio così conveniente non è. A parte l’onere delle commissioni, che colpisce anche ogni nostro acquisto, in misura – sempre – variabile, il problema è un altro: nel caso delle carte prepagate l’ente emittente – banca, posta, etc – non assume alcun rischio. In altre parole paghiamo per usare i nostri soldi. Probabilmente, è arrivato il momento in cui dobbiamo rivedere l’intero sistema su cui si sorregge il mondo moderno. Dobbiamo ricominciare a risparmiare e pagare in modi semplici, senza troppe tecnologie, quello che abbiamo risparmiato. Così facendo capiremmo a quante cose inutili avremmo potuto rinunciare ed apprezzeremmo, sicuramente di più i nostri nuovi acquisti. Una volta si diceva che dovevamo comperare il necessario secondo la Legge delle 3 L: Latte, Letto, Lana. L’economia moderna ha aggiunto la quarta L quella del lusso ed è stata la sua rovina.