Vignettopoli
“Io”- l’intruso.
Il libro di Jean-Luca nancy, L’intruso, edito da Cronopio nel 2006, è un testo singolare. Sembra essere, inizialmente, un documento autobiografico, la narrazione di una esperienza personale eccezionale, un trapianto di cuore. Ma è, soprattutto, un denso quanto elementare testo filosofico in cui Nancy affronta un gruppo di temi che toccano appunto al cuore la riflessione filosofica.
Il titolo: l’intruso. Intrudere è verbo che indica l’atto di cacciarsi dentro, di introdursi a forza dentro, con violenza. Nancy dunque sceglie come titolo un termine che ha una forte connotazione apparente di violenza. Dovremo verificare se questa violenza è negativa o se abbia in sé, come forza, una connotazione non semplicemente negativa, distruttiva. Andiamo al testo. La prima affermazione forte dice che “ci deve essere dell’intruso nello straniero, senza di che perde la sua estraneità”. Dunque, l’intrudere è una necessità dello straniero. Nell’incontro con l’estraneo, dunque, è sempre necessaria una quantità di forza, che Nancy caratterizza di “sorpresa o di astuzia”. E’ l’inatteso ciò che caratterizza la forza dell’intruso, l’incalcolabile, l’imprevedibile. Questo inatteso, aggiunge Nancy, è un “turbamento nell’intimità”. L’intruso turba; è la quiete, la stabilità, la prevedibilità che viene turbata. L’intruso ha a che fare in qualche modo con la forza di un innamoramento inatteso. Il testo di Nancy non lo dice, ma potremmo ben dire che il colpo di fulmine amoroso ha dell’intruso. C’è della passione nell’intrusione. Ma ciò su cui Nancy insiste, fin dalla prime righe di questo testo, è che l’intruso arriva con lo straniero, con la sua accoglienza. Scrive:” Accogliere lo straniero, è necessario che sia anche fare la prova della sua intrusione. Ciò che interessa, pare, qui, a Nancy, è preservare il rapporto con lo straniero, che potremmo definire l’estraneo, da ogni forma di acquietamento, di indifferenza, di inglobamento, di eliminazione della diversità. L’estraneo è diverso, differente e come tale va accolto, e dunque va accettata la sua intrusione. E’ da escludere qualsiasi forma di omologazione – avrebbe scritto Pasolini – di parificazione, di assimilazione. Ma quando scrive dell’estraneo, Nancy non allude affatto ad un esterno, ad un esteriore. Il testo prosegue proprio con la riflessione sul pronome personale “io”. E’ proprio in primo luogo “io” il primo ad essere estraneo a se stesso, ad essere “forzatamente l’intruso”. Evidentemente Nancy spiegherà in seguito questa tesi. Per farlo sceglie di raccontare una vicenda personale, in un tono narrativo in cui l’autobiografia non è semplicisticamente piana. La vicenda narra della esperienza di un trapianto di cuore. A Nancy è stato trapiantato un cuore di un’altra persona. Il “proprio” cuore – ma allora, era proprio proprio?- è stato sostituito da un altro cuore. Nancy, a questo punto si sofferma sulla “coincidenza”, la concorrenza degli eventi che caratterizzano questo: vent’anni prima non ci sarebbe stato il trapianto, tra vent’anni un altro. Scrive:” Si incrocia una contingenza personale con una contingenza nella storia delle tecniche”. “Io” sta in mezzo; e già questo stare in mezzo lo “estranea” da se. Si è creato un “vuoto”, dentro al petto, nel mezzo della persona, un mancamento. Una vertigine, un vacillamento. Il cuore viene a mancare; fino a che punto, allora, esso era “proprio”? Scrive:” Esso mi diventava estraneo, faceva intrusione per defezione”. Ma insieme al cuore, era anche “io” che diventava estraneo a sé, lentamente, in questo corpo che tutto si riassumeva in questo cuore ormai straniero. Ecco allora la forte affermazione:” L’estraneità non doveva venire da fuori se non per essere dapprima sorta di dentro”. Allora, l’intrusione non è in primo luogo esterna, ma interiore. E la sua forza, la sua violenza, la sua sorpresa sorge da dentro, in uno manifestazione “straniante” che porta un “vuoto”, che non è un nulla, un vuoto “dentro al petto o dentro all’anima- è la stessa cosa -, kenosis, “svuotamento”, è la parola che qui, non scritta da Nancy, tuttavia, sale alla mente. Scrive: “Qui, lo spirito cozza con un oggetto nullo: niente da sapere, niente da capire, niente da sentire. La intrusione di un corpo estraneo al pensiero. Questo bianco mi rimarrà come il pensiero stesso e il suo contrario insieme”. Dal piano personale, Nancy, da grande filosofo, passa a quello del pensiero per dire che è nel pensiero stesso che si da la logica dell’intrusione; il pensiero stesso deve accogliere in sé il proprio vuoto come suo intruso, come suo straniamento, ma anche come sua forza. Il pensiero è il “bianco”, il mancamento che fa intrusione e insieme il suo contrario. E’ la forza della “inquietudine” – parola presente in un altro bel libro di Nancy su Hegel -. Prosegue Nancy, rilevando come, fino ad allora, il suo cuore fosse rimasto “estraneo”, in quanto assente nel silenzio della sua funzionalità quotidiana; “Fin qui, era estraneo a forza di non essere nemmeno sensibile, nemmeno presente”. Era la “normalità” stessa del cuore a renderlo “estraneo”; ma non un intruso. “Ormai, è in difetto, e questa estraneità mi riconduce a me stesso”. Dunque, la “violenza” dell’intruso, è benefica per l’”io”, perché esso possa fare “ritorno” a sé! Scrive Nancy”:” “Io” sono, perché sono malato”. E sulla “malattia”, sul significato che possa avere in Nancy, sospendiamo questa lettura, al suo II capitolo, perché sia un invito ad andare a leggere fino in fondo questo breve ma densissimo testo di questo grande filosofo, forse il più grande vivente. Noi lo faremo in uno prossimo testo.