Il Lettorante
I filosofi “umani-sovrumani”
Il testo “Filosofi sovrumani” di Giorgio Colli, edito da Adelphi, a Milano, nel 2009, è stato scritto a ventidue anni, E’ dunque il frutto di un giovane. Ma a chi lo legga, subito, appare come maturo, già. Qui, G Colli affronta le figure di alcuni filosofi pre-socratici; quelli che successivamente chiamerà “Sapienti”. Il taglio con cui affronta queste “figure” lontane, è duplice e sorprendente; egli rileva come questi pensatori fossero insieme dei mistici e dei politici.
Egli spiega cosa si intendesse innanzi tutto per politica per quegli uomini; è ogni attività che ha a che fare con la vita in comune, in particolare dentro alla “polis” . “Politico …..è ogni cittadino libero che in un modo o nell’altro ha una funzione nella vita della Polis e sopra ogni altro lo è colui che agisce come educatore dei giovani nella città….influisco[no] profondamente nella formazione sulla formazione della spiritualità della Polis. Politiche diventano quindi tutte le attività spirituali dell’uomo……..” Dunque, abbiamo a che fare con “filosofi” che non vivono nell’isolamento, la cui riflessione è distaccata dalla realtà. Sono uomini profondamente radicati nel loro presente. Sono uomini che riflettono a contatto diretto con altri uomini; il loro pubblico non sta a chilometri di distanza, ma sta gomito a gomito, per cui è possibile ad esso “giudicare” direttamente del “costume”, della morale di questi uomini. Il filosofo pensa ed agisce sotto gli occhi dei cittadini, non c’è scollamento, come oggi, tra pubblico e privato. Ma, a fianco di questo aspetto politico dei presocratici, G Colli mette in evidenza quello della riflessione interiore di questi pensatori. In breve; tanto più è presente la dimensione pubblica nei presocratici, tanto più lo è quella “interiore”, ossia la capacità di immergersi in sé nella riflessione, di esser capace di stare in solitudine tra la folla, come Socrate nella battaglia. Questa capacità di isolamento, di rifarsi a sé, di raccoglimento dentro di sé, G Colli lo chiama “misticismo”.
La filosofia greca nasce, scrive Colli, “dall’urto di queste forze…[come] il miracolo della filosofia greca”. E Colli da a questo misticismo il nome di “dionisiaco”. Il dionisiaco, quale lo intende Colli, è uno stato dell’individuo in cui la percezione della sofferenza, del dolore, non rimane singolare, a si colloca in una “comunione”, una condivisione che fa del pessimismo una dimensione globale ma radicalmente non solitaria. E’ nella condivisione con altrui che il singolo in sofferenza accumula ancor di più la consapevolezza del dolore del mondo, ma in questa condizione giunge ad una sopportazione accresciuta della sofferenza. Il misticismo presocratico di cui scrive Colli, è detto dionisiaco in quanto colloca i suoi esponenti in una dimensione “sovrumana” della cognizione del dolore che li porta in prossimità di una dimensione che potremmo dire “divina”. Ma mentre nel fenomeno collettivo dionisiaco l’individualità viene sommersa dal dolore collettivo, nel dionisiaco individuale dei filosofi “sovrumani” il dolore si raccoglie in un soggetto in grado di sopportare una conoscenza del dolore abissale senza restare sommerso dall’onda di pessimismo. Questo individuo si “stacca” dalla collettività, dalla “Polis”, in una ascesa verso un riscatto dal/del dolore che dia una giustificazione ascendente alla sofferenza e che faccia del dolore non un punto di arrivo, ma di partenza per una conoscenza dell’individuo che lo trasporti in una dimensione ascendente rispetto al dolore stesso. Questa forma di distacco, questa forma di separazione, di isolamento modifica la posizione politica dei filosofi presocratici che li rende individualità intangibili che si muovono nella Polis con un incedere ieratico che non ha nulla di religioso nel senso comune del termine. Scrive Colli: “Possiamo quindi ora definire l’aspetto mistico, o se si vuole dionisiaco della filosofia greca l’impulso a superare tutto ciò che è umano, come interiorità del grande individuo”. Questo “impulso a superare”, non è un impulso a separare a separarsi dalla Polis, ma a indicare ad ogni individuo la possibilità di andare oltre il dolore, oltre il presente, pur stando nella Polis. I filosofi presocratici non si arrestano sulle loro verità acquisite nella conoscenza “mistica”. Essi sanno bene che quanto da loro conquistato con la loro conoscenza è difficilmente trasmissibile ad altri, tuttavia essi non si beano in una solitudine monacale; è verso la Polis che si muovono, spunti dall’”impulso ad agire praticamente sugli altri uomini”.
Citiamo ora un lungo passo:” I Greci sentono invece come insopprimibile il bisogno di esprimere la loro intima esperienza in modo talmente chiaro e definitivo che gli uomini sono costretti ad accettarlo e quindi a comportarsi politicamente nella vita in base a queste nuove conoscenze……Nella solitudine essi sono giunti a dei sentimenti…talmente lontani dai sentimenti e dalle idee comuni dell’umanità che essi neppure saprebbero tradurli in parole………trovano la loro via di espressione nel rivolgersi all’universo. Il loro impulso politico…si realizza ora nelle dottrine che sono come legislazioni……”. Insomma, i presocratici tanto più conoscono la solitudine, l’abisso della conoscenza, quanto più vanno oltre essa per raggiungere nuovamente la “Polis” in un “al di là” radicalmente collimante con un “al di qua” radicalmente vissuto. Ma essendo consci di questa condizione di privilegio i filosofi “sovrumani” hanno piena consapevolezza che mai è possibile portare fino in fondo la loro conoscenza e soprattutto sanno che essa va comunicata non già nelle vesti di un pessimismo senza sbocco, ma attraverso una parola che fa della conoscenza dionisiaca, un’espressione gioiosa, “umana-sovrumana”. Ciò che colpisce nel disegno che G Colli traccia dei filosofi presocratici è il loro volto che accenna un sorriso interrogante, come quello dei “kouros”, delle statue giovanili greche, in cui l’”enigma” della unione nella bellezza del tragico e del sorriso resta misterioso.