Politicando
SE IL PATTO DI PARIGI FINISCE IN PASTO A TWITTER
Al posto di Serra forse non avrei detto che Twitter fa schifo. Ma neanche avrei detto, trovandomi nei panni di Scanzi, che Serra è uno snob che schifa Twitter perché non lo sa usare.
Al posto di tutti e due avrei detto che è il livello del dibattito in Italia che è un troiaio, non il “luogo” reale o virtuale dove si svolge. Ha ragione Serra a dire che in 140 battute non si riesce ad esprimere nessun pensiero “lungo”: i pensieri non si misurano a spanne, ma se devi esprimere un grugnito, ti bastano poche lettere, se invece devi elaborare un pensiero complesso ti occorrono un bel po’ di frasi. Ma non è questo il punto: è invece che se Twitter è così frequentato vuol dire che è questa la “lunghezza” dei pensieri che la nostra civiltà riesce ad cavare fuori dalle meningi. Frasi lapidarie. Che possono essere anche molto intelligenti: la letteratura è piena di aforismi strepitosi. Ma chi mi cita una rivoluzione o un rivolgimento politico avviato da una freddura vince un peluche. Bersani e Hollande non hanno recitato aforismi sul palco del Cirque d’Hiver: erano lì per delineare un nuovo corso europeo e francamente mi vengono i brividi ad immaginare i loro discorsi smembrati e dati in pasto a Twitter. Ci sarà magari qualcuno dotato del mirabile dono della sintesi che riuscirà a condensare in 140 battute un commento sensato. Ma per il resto si tratterà di un rimbalzo di lazzi e frizzi con poche varianti. E la colpa non sarà del limite delle 140 battute di Twitter, perché su FB, che pure non ha spazi contingentati i commenti non saranno più polposi e la stampa che pure ha a disposizione pagine intere ridurrà tutto a qualche titolo ad effetto. E perciò non è Twitter che riduce il dibattito a caricatura, è la regressione del pensiero che ha prodotto Twitter. Se su Twitter il dibattito si fossilizza in banali slogan, sulla stampa s’inchioda sulle fotografie: la foto di Vasto, la foto del vertice a quattro, la prossima immortalerà un’altra scenetta e si discuterà di giacche e cravatte: i progetti non vengono ripresi dagli scatti. Una stretta di mano educata tra due avversari se malauguratamente viene fotografata diventa un inciucio e dà la stura al complottismo più delirante. E gli ultimi anni della cronaca politica non sono stati che un appiattimento su questa nuova cultura di pensieri sincopati e irrelati.
Ma sul palco del Cirque d’Hiver oggi si è detto che in Europa si sta levando “un’altra voce” e che il pensiero unico ha trovato finalmente l’altro corno della dialettica. E allora i teorici della democrazia della rete, del protagonismo da tastiera, della cliccata rivoluzionaria dovrebbero usarmi la cortesia di sciogliermi questo dubbio: è credibile che la costruzione di quest’altro pensiero, che deve essere robusto e vigoroso se vuole giocarsi la partita del governo dell’Europa, sia demandata ad una cacofonia di cinguettii? O non è più sensato il ritorno a luoghi di democrazia strutturati, dove la discussione è regolata e la responsabilità della decisione è bene individuata? Esistono questi luoghi, non si devono inventare: si chiamano partiti. Là si ritrova gente che la pensa grosso modo uguale; partecipa attivamente, ma c’è qualcuno eletto democraticamente che si preoccupa di fare la sintesi della discussione, ma soprattutto di attuarla per farla approdare ad un risultato. Là le questioni non vengono solo sollevate e buttate nel buco nero della rete che inghiotte tutto, ma vengono sviscerate per trovare una soluzione. Ora stanno passando un momentaccio e dicono che sono morti. Ma i partiti sono l’unico strumento che permette alla società civile di incidere sulle istituzioni, con i tweet si esprimono solo opinioni. E più sgangherate sono, più sono funzionali ad un sistema senza corpi intermedi tra individui e istituzioni governato da tecnocrazie: la democrazia ha bisogno di pensiero coerente per consentire il confronto tra visioni del mondo e interessi diversi, la tecnocrazia ha bisogno di conformismo che non scompagini l’ordine: va bene pure il conformismo dell’antagonismo da dietro un video. Come nei villaggi medievali, quando i guitti istigavano dal palco il popolo a prendersela con il feudatario: era uno sfogo divertente e liberatorio, ma la Guerra dei Cent’anni veniva decisa nelle corti dai potenti. Sopra la testa del popolo. Nel “net-medioevo” chi deciderà il futuro dell’Europa, i guitti da tastiera?