Il Lettorante
La Fortezza
Fortitudo; “sii forte”, “forza!” “bella forza!”, “forza e coraggio”. Ecco una serie di espressioni che contengono il termine “forza” che rimanda al latino “fortitudo”, che però traduciamo con “fortezza”. E in effetti, la fortezza è altro dalla forza, anche se i due termini sono affini. Potremmo dire senz’altro che cosa la fortezza non è mai; forza bruta, o forza pura e semplice.
Senz’altro, la fortezza è una connotazione positiva della forza, una sua manifestazione “nobile”. Dire per esempio che una persona ha un “cuore forte” significa già senz’altro che esso conosce la fortezza. D’altra parte si possono presentare manifestazioni di forza “negative; pensiamo all’espressione “la forza della disperazione”, per esempio, o la “forza bruta”. La fortezza non conosce stati d’animo disperati; anzi, semmai agisce positivamente su di uno stato d’animo sofferente. La fortezza è un “tenere duro” anche nella sofferenza, nel dolore. D’altra parte, concretamente, la parola “fortezza”, rimanda all’immagine di un baluardo, di un castello, di bastioni. Certamente, uno degli aspetti della fortezza è la sua “resistenza” a qualcosa o a qualcuno. Essa ferma, blocca, da diga rispetto a qualcosa o a qualcuno che appare come incontenibile. La fortezza, non indietreggia nemmeno davanti all’immensità aggressiva che gli sta di fronte. In questo senso essa è abbinata al coraggio, ma è diversa da esso. Possiamo dire che la fortezza ha un movimento di resistenza e di opposizione meno scomposto e più modulato del coraggio. In effetti, il coraggio può essere associato nella sua manifestazione alla forza bruta, ad un dilagare di energia quasi incontrollata. La fortezza non è mai scomposta. Rimandiamo, ad esempio, al dipinto di Sandro Botticelli che ha per titolo “La fortezza” che ritrae seduta una splendida fanciulla seduta su di un trono che tiene in mano non già una spada ma qualcosa come uno scettro o un bastone di giustizia. Questo quadro ci indica subito un’altra caratteristica della fortezza che la distingue dalla semplice forza e da coraggio; essa è composta, austera, e rimanda alla giustezza, alla giustizia. La fortezza, allora potremmo dire che non si fa mai forte con i deboli e debole con i forti, al contrario essa mantiene un equilibrio della sua forza che è sempre misurata, controllata. Il quadro di Sandro ritrae una splendida fanciulla; questo ci porta ad interrogarci se la fortezza sia appannaggio solo della giovinezza, o se invece non abbia età. Riteniamo che la fortezza non sia legata ad una manifestazione di “virilità” o di potenza o vigoria muscolare. Tanto è vero che Sandro dipinge una fanciulla e non già un bel “macho”! Immaginiamo allora l’immagine di un uomo in età senile o un adolescente dotati di fortezza e dunque di un portamento “nobile”. Giacché, in effetti, la “nobiltà (di corpo e di animo) è un altro connotato della fortezza. Se d’altra parte “fortezza” rimanda anche immediatamente all’immagine del castello, allora siamo subito rinviati alla nobiltà. Sebbene non abbiamo effettuato degli studi in questa direzione, possiamo tuttavia supporre che un’elaborazione concettuale e filosofica, se vogliamo, intorno al termine “fortezza” possa essere presente nell’Umanesimo e nel Rinascimento. D’altra parte il quadro di Sandro appartiene a questo tempo! E’ possibile che intorno a questa parola si sia sviluppata una riflessione sul “controllo della forza”, sulla disciplina, l’autodominio, e anche la “serenità”!!! Sì, la fortezza rimanda non può essere una forza disperata, la disperazione di una forza. Certamente essa è una forza controllata, ma non “calcolata”. Il calcolo, infatti, appartiene anche alla “forza bruta”, violenta e assassina! “Temperanza” è la parola associata alla fortezza; tempo, dare tempo, modulare il tempo. La fortezza, allora, non è mai un’espressione fulminea di forza; è un “virtù” invece e dunque necessita di un tempo, del suo tempo per manifestarsi. Esiste una parola derivata dalla temperanza, un verbo: stemperare. La fortezza stempera le passioni, la vulcanicità dei sentimenti. Pertanto, per esempio, possiamo dire che se un sentimento come l’amore conosce la fortezza, esso certo ha la forza della passione ma espressa con una “tenerezza” che rimuove la “violenza”, la potenzialità “distruttiva” che è contenuta, invece, nella passione. Agostino scrive che la fortezza d’animo è “firmitas”, “fermezza”, migliore “stabilità”, in quanto, in effetti, più che “fermare” il movimento della forza, la fermezza gli da un moto “stabile”, equilibrato, che sta in piedi. Senza la fermezza potremmo dire che la forza traballa, zoppica, ondeggia, oscilla, vacilla. La fortezza invece “ferma” la forza giusto il tempo necessario per darle quella “stabilità” che la faccia procedere anche in modo infinito. In effetti, la fortezza non conosce incrinature ed instabilità nel suo modo di essere e di moto; essa ha la misura della splendida fanciulla dipinta da Sandro. Pertanto, come una bella fanciulla, la fortezza va coltivata, corteggiata(?), avvicinata con “cortesia”, perché essa è “nobile”, mai volgare e “bella”. Se è una “virtù” (teologale, secondo il catechismo della Chiesa, che non è qui da parte nostra oggetto e tema di questo testo), lo è anche di fronte alla morte; si può essere “forti” di fronte alla morte? Fermi? temperati? E’ la morte, una manifestazione della fortezza? Si può “resistere” alla morte? Forse in queste parole di Nietzsche sta una possibilità di fortezza davanti alla morte: ”Bisogna prendere congedo dalla vita come Ulisse fece con Nausicaa; benedicendola piuttosto che innamorati di lei”. Sì, la fortezza sa benedire, è una forza benedicente e correttamente Nietzsche sottolinea, come ne conosca l’amore, ma non dipenda nella sua “virtù” dall’amore. Sapersi congedare dall’amore, da un amore; ecco sì, forse, un’altra forma di fortezza. Ma “congedarsi” dalla vita, sì, anche, richiede una buona capacità di preparare la valigia per tempo e se anche non è dato il tempo per prepararla, allora indossare almeno in fretta il cappello per salutarla con “signorilità”, con una gentile fortezza!
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- Roberto Borghesi
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