Politicando
E SULL’ILVA CASCA L’ASINO POPULISTA
Prendi la questione dell’ILVA di Taranto. Gran brutto casino dove si scontrano due ragioni che se non ti spremi le meningi per ricondurle a sintesi sembrano inconciliabili: il lavoro e la salute. Prendi la questione dell’Ilva e mettila davanti al populista: la sua mente va in cortocircuito.
Perché il populista si riempie la bocca a tempo pieno sia di lavoro sia di salute (come di tutte le questioni che toccano i nervi scoperti del corpo sociale) e ora che gli eventi li hanno fatti emergere in termini apparentemente conflittuali casca l’asino: non sa su quale suonare il piffero.
Alla fine sceglierà con il criterio dei numeri: vediamo se sono di più quelli preoccupati per il lavoro o quelli preoccupati per la salute. Fatto il conto, l’ILVA di Taranto deve chiudere: l’ha deciso il popolo. Perché lo schema del populista è binario come quello dei computer: Si’/NO.
Vede di fronte a sé solo due estremi senza sfumature intermedie, cioè l’ambientalismo ad oltranza o la difesa del posto di lavoro senza se e senza ma, chiudendo le serrande a proposte di qualunque tipo. La sua concezione del governo dei conflitti (e quindi della democrazia, che è essenzialmente conflitto) è a somma zero: la maggioranza vince tutto, la minoranza perde tutto. Perciò daje a strillare “Bastaaaaaaaaaaa! Il mostro deve chiudereeeeeeeeee! Vergognaaaaaaaaaaaaaa!” così gli ambientalisti sono completamente soddisfatti, chissenefrega delle dodicimila famiglie sul lastrico. E’ la democrazia populista, bellezza.
L’approccio del riformista è l’opposto: vede di fronte a sé un problema complesso che deve essere risolto facendo in modo che tutti guadagnino qualcosa: ne guadagni la salute, ma anche il lavoro. Perché il riformista sa che la salute e l’ambiente sono beni irrinunciabili, ma non si può mettere in ginocchio un territorio e spargere disperazione sociale.
Perché l’occhio del riformista abbraccia sia l’emergenza, sia il futuro e perciò sa che voler fare di quel territorio un giardino immacolato non tiene conto che la chiusura dell’ILVA lascia comunque tanta bruttezza e che occorrono risorse per bonificarla: con quale sviluppo se la logica è quella del colpo di spugna? Perché il riformista sa che la prima cosa da preservare in un territorio è la coesione e allora deciderà in modo da comporre e non acuire i conflitti, perché tagliare la testa al toro può lasciare scie di rancori che prima o poi riemergeranno più potenti ed esploderanno, ci puoi mettere la mano sul fuoco.
Perché il riformista non è un robot e sa che la soluzione, la stragrande maggioranza delle volte non è tra un SI’ e un NO e s’ingegna a ribaltare il problema per liberarsi da quella secca alternativa. Il populista invece è daltonico, vede solo bianco e nero in una realtà che invece è tutta dipinta di colori pasticciati. E questi colori lo accecano: grande Di Pietro che vuole conoscere la verità sulle stragi dalle telefonate del “depistatore” D’Ambrosio! Ma se un’altra grande come la Boccassini si mette a difendere l’integrità del passato a miglior vita poi i conti non ritornano più. E l’asino populista si ritrova come l’asino di Buridano che non sa che greppia scegliere. E allora raglia.
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