Vignettopoli
ANNA E IL MARCHESE
Le notizie di cronaca nera, i fatti di sangue, a Roma sono chiamati “fattacci”. O “pasticciacci”, di gaddiana memoria. Non tutti gli omicidi però possono avere questa denominazione. In Italia, infatti, c’è una precisa mappatura del delitto: al nord il movente è quasi sempre economico: per lo più si ammazza per eredità, per affari.
Per soldi insomma. Al sud difficile trovare un crimine che non sia di stampo mafioso. Al massimo si può far fuori qualcuno per questioni “d’onore”.
Al centro, e precisamente a Roma, abbiamo invece i “fattacci”, che sono invece i delitti non premeditati, quelli d’impeto, generati dalle pulsioni di un animo sanguigno: forti passioni, ira improvvisa, folle gelosia.
Scrive il poeta Trilussa:
Un vecchio Cortello/ diceva a la Spada:/ – Ferisco e sbudello/la gente de strada,/e er sangue che caccio/da quele ferite/diventa un fattaccio,/diventa ‘na lite…-/Rispose la Spada:/- Io puro sbudello,/ma faccio ‘ste cose
sortanto in duello,/e quanno la lama/l’addopra er signore/la lite se chiama/partita d’onore!
Quando l’assassinio è compiuto da un romano ma di famiglia nobile, non può quindi essere definito un fattaccio? Nel libro intitolato proprio “Fattacci”, Vincenzo Cerami un capitolo l’ha dedicato al delitto di via Puccini, altrimenti conosciuto come il delitto Casati Stampa.
Tirollallero lallà /Tirollallero/Tirollallero lallà/ Tirollallero/ La barca nun cammina senza vento/La tela nun se tesse senza trama/Chi fabbrica e nun fa bon fondamento/La casa casca e lui co’ chi reclama …./ Così so io c’ ho fabbricato ar vento/Perché ho voluto bene a chi nun m’ama/Io te saluto….vattene co’ Dio/Tu per il fatto tuo, io per il mio…./Tirollallero lallà/Tirollallero/Tirollallero lallà/Tirollallero
Oltre all’omicidio in sé per sé, tutta la vicenda, prima, e anche dopo, quella sera di fine agosto del 1970, era stata un fattaccio.
“Anna è stata splendida. Anna è stata magnifica. Anna mi ha fatto impazzire.”
Così scriveva nel suo diario verde il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, a proposito della bellissima consorte, Anna Fallarino. Dalla prima volta che la vide, iniziò ad adorarla, sebbene fosse la moglie di un suo caro amico, e lui stesso fosse già sposato.
Bastarono due annullamenti alla Sacra Rota e il Marchese ebbe per sé quella donna che desiderava più d’ogni altra. L’ebbe, ma appena l’ebbe la volle dare ad altri.
“Anna è stata splendida. Anna è stata magnifica. Anna mi ha fatto impazzire.”
Erano questi i sentimenti del Marchese mentre guardava la moglie concedersi a quegli uomini che lui stesso sceglieva per lei, e pagava: camerieri, bagnini, marinai, avieri, di solito incontrati sul litorale laziale.
Per undici anni questi “strani” giochi pizzicarono la loro vita lenta, abitudinaria, senza conflitti, nascosti da tutti quei rituali della nobiltà che seguivano quotidianamente: le sere ai night intorno a via Veneto, le prime alla Scala di Milano, le battute di caccia in Brianza, le vacanze su Zannone, l’isola di loro proprietà. Il Marchese seduto in poltrona a risolvere i cruciverba, Anna in camera, ad esaltare la sua prorompente bellezza o a chiacchierare al telefono.
“Anna mi è completamente caduta, ma la malattia che ho per lei mi lega.
Non riesco a dormire e lo vorrei tanto. Ma come faccio quando lei va a letto e mi dice: “Tengo la linea del telefono finché non dormo” e poi fa una telefonata, ne riceve un’altra, ne fa un’altra ancora, e non mi dice nulla, e io sono in salotto a struggermi? Perché è così perfida? Io non sopporto più questa situazione. Vorrei tanto separarmi da lei ma non ce la faccio.”
Cosa stravolse così l’animo di quell’uomo?
Cosa distrusse l’amore folle e malato verso Anna, che egli saziava ed esaltava ogni volta che fotografava con la sua Polaroid lo splendido corpo della donna nelle pose più ardite, o lo vedeva posseduto da altri uomini?
“La più grossa delusione della mia vita. Vorrei essere morto e sepolto. Che schifo! Che piccineria!
Il voltastomaco, ecco quello che mi ha dato Anna. Solo lei, con quella sua mentalità da minimissima borghese, poteva farmi una cosa così bugiardamente losca… tutto ciò in cui credevo è crollato. Che delusione!
Dico perdere la testa per un ragazzo assolutamente insignificante come Massimo, il quale se non avesse i capelli che lo camuffano, sarebbe proprio uno zero.”
Anna stavolta, quest’unica volta, aveva scelto da sola.
E aveva scelto uno studente di Scienze Politiche, Massimo Minorenti.
Diversamente dai suoi coetanei ribelli e arrabbiati, che sventolavano bandiere nei cortei e suonavano con la chitarra canzoni rivoluzionarie e pacifiste, Massimo era uno della Dolce Vita: se ne andava per locali, giocava a poker, conquistava donne. Eppure sembrava che Anna si fosse innamorata di quel ragazzo, nato lo stesso anno in cui lei, appena sedicenne, lasciò il suo povero paesino in provincia di Benevento, e andò a Roma, a cercare fortuna nel cinema. Recitò una piccola parte in un film con Totò, “Totò Tarzan”, pochi secondi e due battute.
“Sono completamente a terra, spossato moralmente e ancor più fisicamente. Anna mi è completamente caduta, ma la malattia che ho per lei mi fa superare questo trauma, almeno per il momento. Io sto lentamente morendo, internamente e ho perso tutto… Io non sopporto più questa situazione.”
La gelosia fece impazzire il Marchese. Si sentì veramente tradito.
Perché, diversamente dalle altre, quella era una relazione da cui lui era escluso, che non controllava, non dominava. Non poteva più soddisfare il suo desiderio infantile di guardare, non poteva più immedesimarsi nel magnifico corpo della moglie, eccitato ed umiliato allo stesso tempo dai ragazzi che ne godevano.
“Muoio perché non posso sopportare il tuo amore per un altro uomo. Quel che faccio lo devo fare. Perdonami, e qualche volta vienimi a trovare.”
Diede appuntamento alla moglie e allo studente una domenica sera, nel suo appartamento a via Puccini 9. Accanto teneva il suo fucile, un Browning 12: aveva deciso di togliersi la vita. Non sapremmo mai cosa gli fece cambiare idea.
“Il Marchese Casati uccide moglie e amico, poi si spara in faccia”: così intitolò il Messaggero, sulla prima pagina del 31 agosto 1970.
Tirollallero lallà /Tirollallero/Tirollallero lallà/Tirollallero/Una candela nun po’ fa du’ lumi/E si li fa nun li po’ fa lucenti…/Una funtana nun po’ fa du fiumi/E si li fa nun li po’ fa corenti/Così la donna quanno cià due amanti,
che tutt’e due nun li po’ fa’ contenti/mejo che all’uno o all’antro dia licenza/Bella, si tocca a me ce vo’ pazienza/ Tirollallero lallà/Tirollallero/Tirollallero lallà/Tirollallero
Aggiungiamo un particolare curioso. Morti sia il Marchese che Anna, tutta l’eredità dei Casati Stampa passò all’unica figlia dell’uomo, avuta dalla prima moglie. La ragazza aveva solo diciannove anni, un enorme patrimonio da gestire e una cifra esorbitante da pagare per la successione.
Ad assisterla, aiutarla e consigliarla nella vendita di una delle ville più prestigiose della famiglia, la villa di Arcore, c’era un giovane avvocato romano, Cesare. Previti.