Il Lettorante
La colomba di Auschwitz
È molto probabile che nel campo di Sterminio di Auschwitz, uno dei campi, il più sinistramente famoso della “shoa”, l’”olocausto”, fosse presente Speranza, una delle tante bambine deportate e destinate al fumo.
Immagino avesse l’età di Anna Frank, il viso di Sherley Temple, e la vitalità del “Monello” di Chaplin. Speranza, fin dal suo arrivo, per questa sua natura positiva e allegra, contagiava chiunque dei prigionieri le passasse accanto, anche solo sfiorandola. Speranza era stata messa nel magazzino del campo, dove arrivavano i resti dei prigionieri ormai bruciati nel forno crematorio. E lei, diligentemente, metteva le cose in ordine, ma su ogni oggetto che le passava per le mani tracciava con il dito un segno. Un giorno, il capo magazziniere si accorse dello strano rito di Speranza. Allora le si avvicinò e con voce urlante simile al fuhrer le chiese che cosa tracciasse su quegli oggetti. Speranza, lo guardò con i suoi occhi furbetti e rispose che tracciava un segno di croce. “Ah, -ghignò il kapò-, una sporca cristiana eh? “Speranza lo guardò gelidamente e rispose: ”No, sono ebrea, te lo sei scordato?” “Ah, una giudeo-cristiana”, annuì con disprezzo e si allontanò. Speranza, allora, riprese a tracciare il suo disegno; ma non era una croce, era una colomba. Così ogni povero resto aveva la sua colomba.
Un giorno entrò nel magazzino Ahmed, un adolescente arabo e vide Speranza che “lavorava”, e le chiese che cosa facesse. Speranza rispose; “traccio l’anima di colui che ha indossato questo straccio”. Ahmed capì, baciò Speranza, ma prima di uscire le disse: “Un giorno, se sarà, io saprò tracciare la colomba sul tuo straccio” e le sorrise. Speranza gli sorrise. Arrivò l’inverno, l’ultimo prima del crollo della tirannia. Speranza era ancora là e tracciava le sue colombe, che ormai erano centinaia e centinaia. Alla fine dell’inverno, il capo magazziniere andò da Speranza e le annunciò che sarebbe stata rimossa dal suo incarico per fare posto a Greta, la giovanissima amante del capo. Speranza, come sempre sorrise. Diede un ultimo sguardo alle sue colombe e si avviò verso la baracca. Lungo il cammino incontrò Ahmed e gli comunicò l’accaduto. Allora Ahmed corse nella sua baracca e trasse da sotto il materasso, i resti della sua sorella cremata proprio quel giorno e corse da Speranza e gli chiese di fare presto e di indossare gli abiti della sorella. Speranza si nascose con Ahmed dietro alla baracca e si spogliò, cambiando resti. Ahmed la guardò, le si avvicinò e la baciò. Subito comparve una guardia che li separò. Ahmed nascose con cura i resti di Speranza. Quella stessa notte, al lume di una piccola candela tracciò sulla manica di Speranza una colomba. Passarono i giorni e Ahmed cercava ogni mattina la silhouette di Speranza. Alla fine dell’inverno, all’alba di un’aurora meno fredda, verso Pasqua, gli sembrò di vedere Speranza che si incamminava ormai ridotta solo pelle e ossa verso la baracca 45, Per un attimo la figura si volse verso di lui con un sorriso. Ahmed fu certo che era lei. Abbassò il viso e pianse due lacrime. Venne la sera di quel giorno e mentre il fumo usciva dai camini della baracca 45 ecco spuntare silenzioso uno sciame di colombe bianche. Ahmed sorrise e le salutò con la mano. Due giorni dopo, proprio quando gli era stato comunicato che sarebbe stato “sospeso” dal suo incarico, arrivò il primo carro armato degli alleati. Ahmed trasse da sotto il materasso, i resti di Speranza e salendo sul carro li sbandierò ridendo fra le lacrime alle colombe bianche e silenziose che ancora una volta come oggi ancora, solcano il cielo di Auschwitz.
- VIA
- Roberto Borghesi