Editoriale
Buon Anno Mister Bundy
Buon Anno a tutti i lettori di Vignettopoli con l’augurio che il 2014, sia prosperoso e ricco di serenità e salute. L’editoriale che mi accingo a scribacchiare, è il mio solito rendez-vous con voi, realizzato al solo scopo di avvicinare quel “paese” che non è, né di Bengodi e tantomeno l’America dell’Europa, dove il primo che arriva, alloggia e sbatte fuori l’altro. Attenti ad andare in vacanza, potreste trovare la vostra casa occupata da chi una non ce l’ha. Tra il marasma di parole che hanno accompagnato l’anno che sta per chiudersi, anch’io parteciperò a dare il mio contributo, senza sottrarmi dal fare la solita filippica augurale. Questa volta desidero distinguermi per horror argomentativo, inserendo tra il peggio che ci sovrasta e annichilisce per le molteplici possibilità che ha l’uomo di delinquere a sfavore della comunità, mister Bundy, che in quanto a killer seriale non è stato secondo a nessuno.
Si dice che l’animale più pericoloso sulla terra sia l’uomo; Bundy, è stato l’esempio lampante, di quanto sia veritiera quest’affermazione.
Theodore Robert Bundy (Cowell), si macchiò di un numero imprecisato di delitti, ancora permangono le perplessità sul numero esatto di vittime, lui disse di averne ucciso ventotto; altri che investigavano il suo atroce percorso di vita, affermano che possano essere trentasei, mentre i giornalisti che seguirono il caso fino alla sua fine, parlano di 100 in un periodo che va dal 1974 e il 1978, in America. Alle 7,06 del 24 gennaio 1989, Bundy fu giustiziato sulla sedia elettrica. Alle ore 7.16, dichiarato il decesso. Si dice che le sue ceneri, siano state disperse sulle Taylor Mountains, il luogo dove occultò gran parte delle sue vittime, dopo averle mutilate orrendamente. Unica vittima che sopravvisse all’atrocità dell’uomo, fu la diciottenne Joni Lenz, Evaso più volte e senza permessi premio, l’ultimo arresto fu operato nello Stato della Florida, dove aveva commesso l’ultimo delitto, quello di una dodicenne.
Bundy si difese da solo, memore degli studi di legge; nell’attesa della sentenza, per mezzo di appelli e ricorsi, riuscì ad evitare per ben due volte la pena capitale; sposò una testimone, la mise incinta, giusto per impietosire i giurati ma i tanti escamotage per evitare la pena di morte, gli furono vani.
La sentenza del Giudice Edward Cowart cita “È stabilito che siate messo a morte per mezzo della corrente elettrica, che tale corrente sia passata attraverso il vostro corpo fino alla morte. Prendetevi cura di voi stesso, giovane uomo. Ve lo dico sinceramente: prendetevi cura di voi stesso. È una tragedia per questa corte vedere una tale totale assenza di umanità come quella che ho visto in questo tribunale. Siete un giovane brillante uomo. Avreste potuto essere un buon avvocato e avrei voluto vedervi in azione davanti a me, ma voi siete venuto nel modo sbagliato. Prendetevi cura di voi stesso. Non ho nessun malanimo contro di voi. Voglio che lo sappiate. Prendetevi cura di voi stesso.”
Cesare Beccaria che, proprio sul tema della giustizia e suoi ordinamenti giuridici, fissò in modo esemplare un paradigma cui non è possibile far finta di non sapere, ritorna alla ribalta per somiglianza di periodi vissuti; il forte impatto sociale che il suo trattato ebbe e che tanta considerazione suscitò negli ambienti nell’epoca, oggi è più attuale di quanto non lo fosse nel suo tempo.
Il vuoto legislativo che riscontrava Cesare Beccaria, sulla base di attente e lungimiranti osservazioni con riferimento alla tematica, lo convinse che era giunto il momento di porvi rimedio e le lacune che rendevano così fragile l’amministrazione della giustizia a livello legislativo, colmate.
L’illuminista, facendo riferimento alla esigenza del singolo di vivere, accettando le regole della comunità, rinunciava, di fatto, a una parte della propria libertà a favore del bene comune ma esigeva in cambio una maggior sicurezza e tutela. Se il popolo, ergeva lo Stato come unico custode degli strumenti atti a punire chi si macchiava di crimini, esso doveva necessariamente tutelarne la libertà e il benessere pubblico, evitando le “usurpazioni particolari” che potevano mettere in pericolo il sano svolgimento dell’attuazione delle leggi. Unico parametro di riferimento, al fine di decidere l’importanza di una pena e la natura della stessa, doveva essere solo l’”utile sociale” e che il diritto di punire non poteva superare questa necessità, inoltre, sempre secondo il trattato “dei delitti e delle pene”, le persone più pericolose non dovevano ritrovarsi a delinquere, i diritti dei cittadini, dovevano essere tenuti in considerazione, come pure quelli di un accusato, laddove non fossero stati accertati ancora la sua colpevolezza.
Anche sui tempi brevi della pena, ebbe a dire il Beccaria ritenendo che non si dovesse lasciare nell’incertezza un accusato sulla sua sorte; che questi avrebbe meglio compreso la natura della pena, se inflitta in tempi brevi; che i cittadini, avrebbero ricevuto un’informazione corretta sulla consequenzialità di colpa e pena, che il messaggio doveva essere chiaro e mai frainteso; che giustizia e punizione, arrivavano sempre. Lasciar trascorrere troppo tempo nell’eseguire una pena, rendeva solo il messaggio della giustizia ambiguo, aumentando l’insicurezza della gente e penalizzato solo l’”utile sociale”.
Con l’entrata in vigore della Legge Gozzini varata nel 1986, l’introduzione dei permessi premio, di fatto ha sortito dei buoni risultati, su oltre 25.000 permessi, le evasioni sono state solo 52, stimate intorno al 2%… e menomale! Ma qui non si sta tentando di affossarla la Legge Gozzini, solo che se da una parte funziona, dall’altra, qualche deficienza applicativa, forse ce l’ha…
Fare della demagogia non è una mia prerogativa ma credo che il Beccaria, coraggiosamente fece notare ciò che oggi, continua ad esistere e che pare non si riesca a risolvere: il mal funzionamento dell’applicazione delle leggi, perché se c’è una cosa di cui disponiamo, sono proprio quelle.
Del Beccaria si ricorda solo che era contro la pena di morte, invece, egli, in casi particolari, la prevedeva. L’eccessivo garantismo di cui pare siano imbevuti gli strumenti applicativi delle nostre leggi, non costituisce più una garanzia per quell’”utile sociale” tanto caro ai nostri padri.
Che nessuno tocchi Caino, è giusto… ma di Abele qualcuno se ne vuole preoccupare?