Politicando
Brasile, che follia !
Immaginate una nazione i cui confini racchiudano un territorio di estensione pari ad una trentina di Italie. Immaginate che la maggior parte di questo territorio sia pressocché disabitato, perché uno su quattro dei suoi quasi duecento milioni di abitanti – ovvero cinquanta milioni di persone – si restringe nelle aree metropolitane di due sole città. Immaginatevi della gente che conosce la violenza e la povertà nella dimensione più estrema, ma che incredibilmente -anziché vivere sprofondata nella depressione e detenere il record dei suicidi -conduce la propria esistenza in un’atmosfera da eterno party danzante, in una sorta di mondo alternativo dove ci si presenta in vestiti succinti e sculettando persino a un funerale; e dove la vecchiaia, da tempo dichiarata incostituzionale, è stata giustiziata da una setta sacerdotale detta dei chirurghi plastici. Immaginatevi anche, però, che questa stessa gente apparentemente gaia e leggera sia pronta ad affogare improvvisamente nel pathos più profondo, e disposta perfino ad ammazzarsi reciprocamente, qualora le vengano toccate delle cose sacre o ritenute tali; come ad esempio un campionato di calcio, un carnevale, o anche -vivaddio -la propria dignità. Sto parlando, per chi non lo avesse capito, del Brasile; paese che sembra uscito dalle penne congiunte, o se volete dai pennelli, di uno scrittore di fiabe e di uno sceneggiatore di drammi; un paese in cui gli estremi si guardano ma non si toccano, perché convivono separati dal profilattico giallo-verde dell’euforia di massa, in una sorta di perenne ed instabile tregua armata.
Il paese della samba e delle favelas, del Corcovado e del Cristo Re, il paese di Pelé, della Macumba e del culto del Dio Sedere. Andassimo a fare un’indagine sociologica, scopriremmo probabilmente che tra i sogni più ricorrenti del lavoratore medio c’è quello di mollare tutto e partire verso questa meta tropicale… ma lo conosciamo poi davvero, questo paese? Di certo non ne immagineremmo alcuni strani primati. Ad esempio: mentre qui da noi si esulta per uno zerovirgola positivo di PIL, il Brasile cresce ad un ritmo del 7-8% all’anno; peccato però che quasi il 20% della gente laggiù sia sotto la soglia di povertà e viva in condizioni a noi, grazie a Dio, sconosciute. Un brasiliano guadagna in media l’equivalente di circa 400 Euro; ma affitti, tasse e alcuni prodotti (i jeans Levi’s, per esempio, o le Alfa Romeo) costano più che da noi. Potrei continuare con altre coppie di estremi-opposti che caratterizzano questo particolare angolo del pianeta, ma mi fermo prima che l’Editore si accorga che sto trasformando in trattato socio-economico quello che mi era stato commissionato come “pezzo di intrattenimento”. Per carità, io vi intrattengo; solo volevo farvi capire su che razza di polveriera stiamo andando a posare i tacchetti e le chiappe, con questo Mundial 2014. Hanno speso miliardi per finanziare opere che probabilmente non saranno completate, o saranno consegnate all’ultimo istante con qualche pezzo mancante e in maniera raffazzonata. Non oso pensare ai fiumi di tangenti che sono scorsi e scorreranno nelle tasche degli amici degli amici, in un paese in cui persino le forze dell’ordine tendono a giudicare la corruzione non come un reato ma come un giusto diritto per chi si trovi nella condizione di poterne fruire. E non mi sorprende che allora lì la gente si sia alquanto imbufalita per il fatto che quei soldi non siano stati devoluti a cose notevolmente più utili ed urgenti, quali dare un tetto e una pagnotta a coloro ai quali ciò manca. Takle e dribbling saranno pure sacri da quelle parti lì, d’accordo; ma la dignità della vita umana lo è ancor di più. Il fatto che se ne siano accorti proprio in Brasile, posto dove il pallone tira quasi più del pelo, è in qualche modo un segno del risveglio di un popolo; e quando i popoli si risvegliano incazzati, male per chi gli capita a tiro. Tenetene conto, cari potenti del mondo, e non sperate che il tutto possa riassopirsi al suono di fischietti e vuvuzelas. Fossi in voi, avrei un po’ di fifa; parola che si scrive a caratteri minuscoli, perché non c’entra niente col calcio e con le federazioni. Ma che è da leggere tutta al maiuscolo, sottolineata ed in grassetto. Uno a zero, palla al centro. E adesso chiudetevi pure a catenaccio.
- VIA
- Lucia Del Grosso