L'Opinione di
Povera Terra Mia
Povero Giuseppino mio, chi te l’avrebbe mai detto! Tirato per i non pi neri e non pi lunghi capelli pure da morto, pur di accaparrarsi un diritto di appartenenza, un certificato di cittadinanza culturale, un salvacondotto ad esistere nel novero della gente civile, in una sorta di scippo post mortem di una gloria che fu tua e non della tua città .
Si vogliono fottere la tua eredità ; e non solo quella immateriale della fama, bensì anche quella dei milioni accumulati a botta di dischi e concerti. Vogliono sapere perché sei morto, e come sei morto, e chi si permesso di lasciarti morire; manco la vita tua appartenesse a loro e non al Padreterno. E intanto, coerentemente con questo grande interesse per la tua persona, si sono presi dalla tua villa in Toscana un podi oggetti-ricordo, tanto ormai a te non servono pi. Maremma maiala fossi qui, saresti cosi incazzato-nero che al tuo confronto James Senese sembrerebbe Barbie. Guarda qua che ammuina ti hanno scatenato addosso: un funerale a Roma, un altro a Napoli, in mezzo un passaggio all’Istituto di Medicina Legale per un’autopsia al volo, poi la cremazione, poi dieci giorni di ostensione delle ceneri mi chiedo a questo punto perché non costruire una piramide a Piazza Municipio, al posto del buco della metropolitana che stanno scavando da vent’anni, e metterti l dentro con tutte le tue chitarre in stile Ramses II. Santo subito, come si usa da qualche tempo a questa parte, in una sorta di smodatezza collettiva a metà tra bambinaggine e incontinenza emotiva, quella che accomuna nello stesso fascio erbe diversissime tra loro. E poi, siccome l’argomento tira, magari ci sarà pure il controcanto: una puntata di Quarto Grado dove spiegheranno che la tua morte tutta una messinscena per sfuggire ad Equitalia e alle tue mogli, e che in realtà te ne sei andato a gestire una pizzeria a Santo Domingo sotto falso nome. Tu cosi schivo, tu cosi silenzioso, tu cosi anti-divo; tu che non fosti mai visto a via Camerelle con la maggiorata di turno aggrappata addosso, o tuffarti nudo da uno yacht ormeggiato in mezzo ai Faraglioni, e neppure ammucchiato in una qualche giuria di una qualche cazzata televisiva inscenando alterchi fasulli per sollevare l’audience. Tu che incazzato lo eri non per quelle futilità delle quali intessuto il vivere dei nostri tempi, bensì per il barbaro scempio che della tua, della nostra città ha fatto questo popolo invasore ed emergente, spacciatosi per napoletano ed invece proveniente da chissà quale inferno di chissà quale universo. Ma eri un incazzato pacato, sottovoce; quasi in falsetto, come nelle tue canzoni. Sapevi che gridare non amplifica la forza di un messaggio, al contrario la deturpa e la depotenzia. E forse pi che incazzato eri addolorato, come tutti noi detentori di quella verità sconosciuta a chi ci immagina tutti sole, pizza, ammore e mandolino a sann tutt quant, ma nun sann a verità avevi non a caso cantato di Napoli. Spero non sia per il dolore di quella verità che il tuo cuore si fermato. Spero fosse semplicemente giunta l’ora che andassi a riscuotere il tuo disco doro alla vita, il più ambito grammy award della Terra. Adesso la butteranno in caciara, come al solito. Qualche opinionista del menga dirà che il funerale a Napoli non si dovevano permettere di farlo per secondo; qualcun altro tenterà di barattare la tua memoria con l’assoluzione plenaria di tutti gli sfasci della nostra surreale città . Ho visto in tivv๠un politico che, con accento pi napoletano del solito, ha pronunciato cento volte il nome Pino come parlasse di suo fratello, praticamente appropriandosi del tuo marchio in vista delle prossime elezioni. Vedrai che ti intitoleranno presto una piazza, e magari anche un PalaDaniele in cui tenere concerti per il popolo bue ed elettore. Si chiama ricotta, in termine tecnico, e da napoletano capisci bene quel che voglio dire.
Rifletta la gente di questo nostro popolo. Onorare la memoria di qualcuno non ostentare costernazione tenendosi la testa tra le mani e guardando nel vuoto, n cantare ossessivamente le sue canzoni sventolando ritmicamente un accendino. Tanto meno pretendere arrogantemente di decidere dove egli debba essere sepolto, o chi debba essere nominato titolare delle sue tante eredità . La memoria di qualcuno la si onora seguendo il suo insegnamento, rispettando il suo pensiero. E lasciandolo in pace, almeno da morto. Pino Daniele, come tanti di noi, la sua pace l’aveva trovata lontano da Napoli. Questa la verità . Sulla quale Napoli farebbe bene ad interrogarsi. La sua strada lui la conosceva, e non dove adesso volete portarlo voi. Lui non pronunci mai quel Fujitevenne! che un altro grande napoletano, Eduardo, aveva lasciato in testamento ai cittadini di una Napoli persino migliore; ma lasciamogli il diritto di tenere la sua discendenza e i suoi resti dove lui desiderava. Tanto, di Napoli rimarrà sempre inciso in lui quell’inconfondibile segno con cui la nostra città marchia indelebilmente i suoi figli migliori: la necessità di sviluppare genio, fantasia, santità e persino umorismo per poter sopravvivere in un inferno costruito a forma di paradiso.
Se davvero lo amate tanto, a Pino fategli vedere che della vostra città ve ne importa. Fategli vedere che non aspettate a ciorta, bensì vi rimboccate le maniche per attirarla; e poi, già che avete le maniche tirate su, approfittatene per alzare da terra un po di carte sporche. E cosi che onorerete la sua memoria, e vi sentirete pure pi puliti.
Per tutto il resto, per dirla alla sua maniera, nun ci scassate o ….