Vignettopoli
L’UOMO CHE UCCIDE
Il femminicidio è purtroppo un crimine che si perpetua in tutto il mondo, anche se l’Italia rispetto agli altri paesi detiene una percentuale minori di casi, resta un problema di grande attualità ed emergenza visto che le statistiche parlano di un omicidio contro le donne ogni tre giorni. Essendo un reato che secondo gli studi recenti, si verifica in qualsiasi contesto socio-economico, senza differenze di cultura, razza e religione, le informazioni che si hanno sull’uomo che uccide, pervengono purtroppo a fatto compiuto. Si tratta del marito, o fidanzato attuale della vittima, o un ex partner che non accetta che la vittima si sia rifatta una vita (61,7%), di un membro della famiglia (14,42%) e raramente la donna non conosce il suo assassino (3.39%). La Dr.ssa Nerina E. Zarabara psicologa, libera professionista da tredici anni si occupa di counseiling psicologico per l’individuo e l’ambito coppia e famiglia, e in questa intervista offre dei chiarimenti su alcune domande a lei rivolte dalle lettrici di Vignettopoli in tema dei recenti e drammatici casi di femminicidio.
Negli ultimi anni stiamo assistendo a una crescente ondata di omicidi verso le donne, perpetuati da mariti, fidanzati o ex, con la motivazione di non accettare la chiusura della storia, perché questi uomini fanno così fatica ad accettare la fine di una relazione sino ad arrivare di scegliere di uccidere la partner? (Franca, Torino)
Quando si chiude una relazione, si entra in una fase di elaborazione psicologica di “lutto affettivo”, che richiede un tempo relativamente lungo necessario per accettare il distacco, l’assenza fisica della persona e l’idea che questa prenderà la sua strada così come ciascun membro della coppia dovrebbe fare quando sopraggiunge una rottura. Questi uomini che non accettano il no, non riescono a costruire nella loro mente la speranza di essere di nuovo felici con un’altra persona, e cosa ancora più importante e patologica, trattano la partner come un oggetto in loro possesso, pretendendo un legame simbiotico, di costante presenza e di controllo. Sono uomini che presentano una struttura di personalità in cui l’ossessione e la paranoia sono al primo posto, spesso l’espressione di uno stato depressivo trascurato, che con il tempo si cronicizza e si manifesta a livello di comunicazione a due con atteggiamenti di controllo sui comportamenti della partner e sulle sue emozioni. L’uomo che uccide sente la fine della relazione come un attacco all’integrità del Sé, a livello emozionale il rifiuto della partner attiva nella psiche di questi soggetti l’uso di meccanismi di difesa disadattivi e patologici come l’acting out e l’identificazione proiettiva. Un meccanismo di difesa psicologico è una strategia di coping necessaria quando affrontiamo eventi stressanti e in condizioni di normalità consente un adeguato adattamento psicosociale dell’individuo nel contesto interpersonale. Ci sono difese buone quindi e difese che non lo sono affatto e portano il soggetto a interpretare il significato degli eventi in modo disfunzionale, per cui l’altro con cui interagiscono è sempre un nemico, qualcuno che sollecita una reazione estrema, da qui il passaggio all’aggressione fisica è breve. L’uomo che decide di eliminare la partner è probabilmente vittima di sé stesso e delle sue ossessioni, la partner e le sue decisioni diventano una realtà scomoda da accettare, e l’acting out porta il soggetto ad agire, a scaricare la sua impulsività con un’azione, l’omicidio. Le personalità borderline, antisociale e paranoide “usano” l’acting out e l’identificazione proiettiva in modo massiccio. L ‘identificazione proiettiva altro non è che una errata interpretazione del comportamento e del vissuto emotivo altrui, scatenato dal soggetto che usa tale meccanismo di difesa, proiettando i suoi sentimenti ostili verso un’altra persona ritenuta responsabile di aver scatenato la sua aggressività. E’ come se l’uomo che uccide dicesse: << io ti uccido perché tu mi vuoi distruggere!>>
Perché in molto di questi casi di femminicidio chi lo commette poi si suicida? (Barbara, Rimini)
Le statistiche dicono che la maggior parte di questi reati culmina con il suicidio dell’aggressore, si può ipotizzare che la follia del gesto commesso, un improvviso ritorno alla realtà, alla consapevolezza di ciò che si è fatto conduca il soggetto a togliersi la vita, forse per senso di colpa. Il suicido può anche essere interpretato in una logica “difensiva”, preferisco togliermi la vita piuttosto che affrontare le conseguenze delle mie azioni. Se consideriamo la personalità tipica dell’omicida, i tratti salienti sono idee di grandiosità, estrema impulsività, scarsa tolleranza alla frustrazione e assenza totale di empatia nei confronti della vittima, assenza di senso di colpa, quindi nel classico profilo dell’omicida “comune” l’idea del suicidio non rientrerebbe fra le opzioni post criminis. Ecco perché il reato di femminicidio si configura come qualcosa di estremamente particolare, coinvolge l’intero sistema famiglia, è di natura manipolativa nei confronti della donna, unico bersaglio. L’uomo che uccide la compagna che lo ha lasciato, mette in scena un delirio di onnipotenza, in cui si sente padrone della vita della partner, l’ossessione che lo spinge a far sì che lei non stia più con nessuno. Con l’epilogo del suicidio, la convinzione disfunzionale ossessiva diventa psicotica in quanto la morte permette all’omicida di perpetuare un bisogno estremo di simbiosi con la vittima alla cui vita ha messo fine. È come se dicesse “Adesso che tu non esisti anche io non esisto più”.
E per quanto riguarda i figli che assistono alla morte della madre, che ne è di loro? (Valentina F.- Ravenna)
Il femminicidio è un reato che coinvolge il sistema famiglia nella sua totalità, i dati di cui disponiamo sui minori sono sconcertanti circa 180 bambini (anno 2015) hanno assistito all’omicidio della madre da parte del padre. In questo caso, il bambino non solo deve affrontare il trauma della perdita della madre, ma si trova anche a confrontarsi con una figura paterna colpevole di aver recato questo dolore, e che viene allontanato da lui dalle autorità. Il bambino spesso è l’unico testimone del fatto criminoso. La polizia trova il bambino solo vicino al corpo della madre, con tutte le dinamiche connesse poiché può aver provato ad aiutarla o a difenderla, quindi a volte è l’unica fonte di informazione per chi fa le indagini. Si comprende viste le condizioni, che il bambino non deve affrontare un normale lutto, l’integrità del Sé è minacciata poiché le figure genitoriali, capisaldi dello sviluppo cognitivo e socio affettivo dell’individuo, vengono a mancare per di più coinvolti in un evento violento e drammatico. Per queste ragioni sono frequenti nei bambini sopravvissuti, sintomi da disturbo da stress post traumatico. Inoltre, l’improvviso cambiamento di condizioni di vita, richiede un adattamento psicologico che ha i suoi tempi, reso complicato dal fatto che se non ci sono parenti vicini, il minore viene assegnato a famiglie adottive.
È un male della società, per cui questi uomini si sentono minacciati dalla emancipazione delle donne? (Francesca, Riccione)
Il problema sociale della violenza fra le mura domestiche verso le donne c’è sempre stato, in una società patriarcale come la nostra, la donna è sempre stata relegata fra le mura domestiche e il marito assumeva di diritto il ruolo di padre sostituivo, quindi esercitava autorità e si sentiva in diritto di alzare le mani per fare “rigare dritto” la consorte. Dagli anni cinquanta ad oggi, fortunatamente la donna si è emancipata acquisendo molti diritti e doveri nella società sia per quanto riguarda la professione che all’interno del contesto famigliare. In questo lenta evoluzione, il posto della donna nella coppia come ben sappiamo è mutato. Non più un orpello, né un accessorio al servizio dell’uomo, oggi la donna vuole stare bene nella coppia per sé stessa e per i suoi figli, non si accontenta ed è determinata a rinnovarsi. Si tratta di un’emancipazione sentimentale in atto da molti anni, le donne che si sentono infelici nel matrimonio si separano, o lasciano il fidanzato attivando un processo di consapevolezza. È probabile che questa tipologia di uomo che ricorre all’omicidio, si senta minacciato da un chiaro atto di emancipazione e determinazione da parte della donna che non vuole essere sottomessa ad un amore malato, e che quindi sceglie di lasciarlo.
Perché la vittima non si accorge del cambiamento improvviso del suo uomo? (Luisa, Roma)
Credo che in molti casi, le donne non riescono a riconoscere i segnali di disagio che dovrebbero mettere in guardia, forse per eccessiva fiducia o perché si sopravvaluta la capacità del partner di affrontare la frustrazione. Gli episodi di violenza domestica rappresentano un segnale macroscopico di pericolo, ma ci sono comportamenti meno evidenti che l’uomo che uccide inscena nella coppia e che spesso le donne tendono a sottovalutare, poiché inconsciamente la società ci ha affibbiato questo ruolo di donna-madre che sa e può fare tutto, compreso essere una guida per il partner disfunzionale. Secondo il mio punto di vista, vanno presi in considerazione gli atteggiamenti di controllo e manipolazione psicologica verso la partner come l’ eccessiva gelosia, le minacce verbali, i comportamenti di vittimismo e le lamentele continue di malessere per fare sentire in colpa la partner, e anche un bisogno ossessivo di capire anche gli eventi più banali che si manifesta con richieste pressanti di spiegazioni alla partner per il suo comportamento, continui chiarimenti che non portano mai a una soluzione definitiva perché lui torna sempre indietro allo stesso punto. Il mio suggerimento è di non cedere alla richiesta di un ultimo chiarimento, nei mesi seguenti alla rottura della relazione in particolare, questa tipologia di uomo innesca un circolo vizioso di minacce e scuse, dando alla vittima l’illusione che l’ex infelice e con il cuore spezzato possa finalmente capire e metterci una pietra sopra. Chi si macchia di femminicidio, è un uomo psicologicamente malato, egocentrico sopra ogni ragionevolezza e pericoloso, al quale non va data una seconda possibilità, tanto meno un chiarimento.
Dr. ssa Nerina E. Zarabara (info: studiodipsicologiadott.ssanez@gmail.com)
Bibliografia:
Abstract “ The mortality rate for homicide among women in Italy: a historical and geographical analysis as a contribution to the study of femicide “ autori : Dr. Montinari MR, Dr. Petrella M, Dr. Vigotti MA.
Abstract: “ Femicide and murdered women’s children: which future for these children orphans of a living parent?” autori : Dr.Pietro Ferrara, Dr.ssa Olga Caporale, Dr.ssa Costanza Cutrona, Dr.ssa Annamaria Sbordone, Dr.ssa Maria Amato, Dr.ssa Giulia Spina,Dr.ssa Francesca Ianniello, Dr.ssa Giovanna Carmela Fabrizio, Dr.ssa Chiara Guadagno, Dr.ssa Maria Cristina Basile, Dr Francesco Miconi, Dr Giacomo Perrone, Dr Riccardo Riccardi, Dr Alberto Verrotti, Dr Massimo Pettoello-Mantovani, Dr Alberto Villani, Dr Giovanni Corsello, and Dr Giovanni Scambia (2014)
Abstract : “Black D, Harris-Hendriks J, Kaplan T. Father kills mother: post-traumatic stress disorder in the children. Psychother Psychosom. 1992
“ I meccanismi di difesa.: teoria clinica e ricerca empirica. V. Lingiardi, F. Madeddu, 1994.