L'Opinione di
L’inclusivo col cuore degli altri
La lucidità e l’autostima di un’epoca la si può cogliere anche dal linguaggio che essa utilizza; e d’altra parte la parola è forse l’oblò più efficace attraverso il quale scrutare nel pensiero di chi la pronuncia. Dell’italico idioma (quello con cui Dante confezionò la Divina Commedia, e Manzoni i Promessi Sposi, per intenderci) attualmente noi italiani abbiamo una concezione così bassa da averne rinnegato e cancellato un numero enorme di vocaboli.
Chi bazzica nel mondo del lavoro, ad esempio, sa già da anni che quando partecipi ad una riunione collegiale (o a un briefing, per dirla come si deve) più parole inglesi pronunci, più si alzano le tue quotazioni: forecast, EBITDA, invoice, profit, planning, endorsement sono termini basilari ai quali ciascun Board che si rispetti si riferisce nella valutazione dei suoi asset. Ma anche nella vita di tutti i giorni la tuta aderente è diventata legging, la ribattuta a rete è diventata tap-in, il fascino è diventato glamour.
Per compensare tale mania autodistruttiva della nostra identità lessicale sono stati però inventati (o riesumati) altrettanti termini che fino a qualche tempo fa erano pressoché inutilizzati, e che adesso invece sono continuamente sulla bocca di Presidenti, Capi di Stato, giornalisti, pensatori e persone importanti varie. Uno di essi è il termine “inclusivo”: in questo aggettivo vengono condensati e sintetizzati tutti i concetti afferenti a quanto di più moderno ed evoluto offra il pensiero “politically correct”, in contrapposizione ad un altro vocabolo sino a qualche anno fa conosciuto solo dai professori di matematica, ovvero l’aggettivo “divisivo”. Ad esempio, accogliere chi quotidianamente raggiunge le nostre coste su barconi appositamente organizzati da circuiti internazionali di professionisti della criminalità, e sistemarli a nostre spese in case ed alberghi del nostro già martoriato territorio, è inclusivo; invece dire che le comunità appartenenti alla cultura islamica dovrebbero prendere le distanze dai tanti che, a vario titolo, si avvalgono della nostra folle tolleranza per portare in realtà avanti un progetto di esproprio delle nostre terre e delle nostre radici culturali, perpetrandolo anche a mezzo di un “lavaggio del cervello” che trasforma degli esseri umani in imprevedibili ed inarginabili ordigni vigliaccamente utilizzati per falciare le vite di chi ha la sola colpa di non averli uccisi per primo, tutto questo, dicevo, è divisivo. Peraltro logica e grammatica ci dicono che il contrario di “inclusivo” non è “divisivo”, bensì “esclusivo”; solo che quest’ultimo aggettivo non può essere demonizzato, per il semplice fatto che viene utilizzato in quantità industriali negli spot pubblicitari di veicoli, profumi, viaggi e persino di prosciutti e mortadelle, nei quali viene spiegato a diciottenni imberbi e a shampiste frustrate (ovvero a quella generazione di individui caratterizzati da un ingiustificato altissimo concetto di se stessi, concepita in provetta dalla mitica entità Costanzo-De Filippi, essere mitologico metà uomo, metà donna, metà collo e metà tubo catodico, per un totale di quattro metà e due futilità) che loro possono, che loro valgono, che loro devono, che la vita è adesso, che che cosa aspettano, e che dunque si prendano subito il meglio di tutto quanto esiste in commercio, prima di ritrovarsi vecchi e rincoglioniti. Tanto poi a pagare le cambiali ci pensa la pensione del nonno, o al massimo il nuovo amico di mamma. Il problema è proprio lì: chi paga, o pagherà, il conto che questa generazione di scellerati sta appendendo sulle spalle di chi verrà dopo di essa. Tu occupati di ospitare e dar da mangiare alle diecimila persone che ogni giorno arrivano da tre continenti in cui si è diffusa la notizia che proprio all’ingresso dell’Europa c’è un popolo di stronzi (………….) che ha inventato l’ “alli-galli”, dove si fanno fottere, rapinare, uccidere e ti pagano pure; intanto io mi compro il che guida da solo, la lavatrice che lava, asciuga, stira e fa i budini, e lo smartphone per farmi i selfie sott’acqua (a proposito, ma non si chiamava “autoscatto”?). A me la ram e la sim, a te il rom e l’Imam. Al paese mio, questo si chiama fare l’inclusivo col cuore degli altri; e invece, nella vita, le proprie scelte ognuno deve pagarsele col cuore suo. Parliamo di cuore, ma sempre per “cu” comincia. Sarà bene camminare non troppo discosti dalla parete.