Il Lettorante
Il demone di Eros
Eros è un demone! Il suo logos non è il piacere nel senso dell’appagamento. Il demone di Eros muove colui che ne è posseduto al prolungamento indefinito di uno stato di eccitazione dei sensi, e in particolare del sesso. L’appagamento è la morte di Eros, per questo esso, pur sapendo che esso non può non arrivare, tuttavia cerca di rimandarne l’arrivo in un tempo remoto. Il linguaggio di eros, invece, è un linguaggio di eccitazione. Eccitare, mettere in moto, portare verso un certo fuori il corpo che prima è statico. Ma ciò che muove Eros è il godimento non proprio, come primario, ma dell’altro. Il demone di eros dice; io mi eccito perché assisto al godimento dell’altro. E’ il piacere dell’altro che muove il mio. Allora, il demone di Eros è un demone dello spettacolo, dello specchio, della speculazione. E’, aggiungiamo, il piacere che l’altro prova a destare il mio piacere che commuove eros. Il logos erotico, allora, è un logos eminentemente e primariamente altruistico. Lo è a tal punto che si può affermare che l’obbiettivo di Eros non è l’orgasmo, contrariamente a quanto sembra valere per la pornografia. Se l’orgasmo non è lo scopo di eros, allora esso non è legato, immediatamente, alla genitalità, anche se la sua pratica non è avulsa da essa. Eros, dunque, è rivolto, anche, agli altri sensi, al corpo in quanto insieme dei sensi. Eros, essendo coinvolto nella pratica dei sensi, va considerato al plurale. Eros “è” il nome di una pluralità; l’insieme dei sensi che formano un corpo. Anche il corpo, allora, va pensato al plurale. Per questo eros è definito “polimorfo”.
I sensi, uno per uno, sono mossi dal demone di eros, una volta di più l’uno, una volta di più l’altro. Ogni senso, nel momento in cui è mosso da eros, si desta dal torpore in cui generalmente si trova, – torpore e non inattività, in quanto dal senso non è mai totalmente assente una certa attenzione verso l’esterno – e patisce -nel senso del termine “pathos”- una tensione che lo protende verso ciò che lo eccita. Ma che cosa è che eccita i sensi? Che cosa è ciò che si può chiamare erotico? Lo è solamente ciò che ha a che fare con il sesso, oppure lo è anche ciò che non riguarda i genitali solamente? Noi sosteniamo che “tutto” ciò che può cadere sotto i sensi è erotico; dunque sarà erotico tutto ciò che è a portata dei sensi, ovvero la materialità. Ma, dobbiamo pensare che eros sia un demone “materialista”? Non la penserebbe in questo modo, certamente, Platone. Non bisogna, forse, definire il cervello, la sede dei pensieri e delle idee, come un senso esso stesso, oltre ad essere l’organo al quale rimandano gli altri sensi? Se il cervello è un senso, allora, anche i pensieri e le idee riguardano Eros e il suo demone. Ma se anche il cervello riguarda Eros, non per questo si potrà tranquillamente sostenere che esso sia la sede del demone di eros stesso. Eros, abbiamo scritto, è “polimorfo”, e dunque non avrà una sede unica. Egli è, in quanto demone, una tensione verso: i corpi, innanzi tutto, ma poi, verso le parti dei corpi. Ma eros, bisogna pensare, è un demone che è sensibile, soprattutto, alle pose. Mentre Eros è un demone che muove, ciò che lo attrae sono tutte quelle forme di staticità in cui esso possa fermare la sua tensione. Se dunque, già l’olfatto, o l’udito, possono essere attratti da eros verso gli odori e i suoni, sono il tatto, ma prima ancora la vista, senza dimenticare certo la bocca, che appaiono essere i sensi eminenti della presenza di Eros. E, forse, infine, si può ipotizzare che il primo senso proprio ad Eros, al demone, sia la vista, lo sguardo. Si dice, appunto, di uno guardo seducente, erotico, sia di quello che guarda che di quello che è visto. Ma che cosa guarda Eros e si sente proteso?
Abbiamo sostenuto che tutto ciò che cade sotto i sensi è erotico. Dobbiamo ora precisare che è erotico tutto ciò che cade sotto i sensi, ma che cade in un certo modo. Dobbiamo credere che le cose, perché siano erotiche, non debbano “cadere” sotto i sensi in maniera diretta e immediata; a eros appartiene sia ciò che non sta in primo piano, sia ciò che arriva con ritardo. Il primo piano impedisce alla cosa di avere qualcosa di incerto, di non evidente. Ciò che attrae Eros, invece, è la penombra, non la luce abbagliante. Lo sguardo di eros è fatto di un occhio che aggrotta il ciglio, che cerca, che fruga, che scava nell’immagine. Al limite, eros, chiude gli occhi e affida, allora, l’incontro con l’oggetto al tatto. Se l’occhio è cieco, il tatto è mobile, indagatore. C’è in Eros una certa indiscrezione; ma non è quella di mettere a nudo. Eros spoglia, ma per offrire alla nudità l’occasione per il suo splendore non accecante. Eros ama, in effetti, la pelle, la nudità, finale dell’”oggetto”. Tuttavia, bisogna rilevare come, eros non sia un demone pacifico, proprio perché non quieto, anzi inquieto. Pertanto, se paragoniamo eros ad un puledro o una giumenta fremente, si capisce come il mantenerne il controllo sia difficile. Eros può sempre sottrarsi alle briglie e sciogliersi in una corsa sfrenata al cui termine può arrivare uno sfinimento che sfiora certamente l’assoluto. Ma, abbiamo scritto, eros ama spogliare, prima di tutto con lo sguardo, ama, appunto, denudare. E’ proprio di eros, allora, il fatto che egli non necessariamente denudi l’oggetto delle sue attenzioni, materialmente, ma si immagini di denudarlo.
Questo fatto ci fa scrivere che nella pratica della spogliazione da parte di Eros, essa avvenga simultaneamente su due binari; quello diretto e concreto, ma quello dell’immaginazione, Così è possibile pensare che mentre avviene la spogliazione da una parte, con la mente Eros sia già arrivato alla denudazione completa o che essa sia in ritardo rispetto a quella che sta avvenendo. Questo fatto ci indica, allora, che se eros, abbiamo scritto, è eminentemente “altruistico”, in quanto è dal piacere dell’altro che muove il suo, tuttavia, il suo rimane sostanzialmente proprio. Se eros non provasse nessun godimento dall’assistere al piacere che l’altro prova a provocare il suo, non ci sarebbe nessun erotismo. Tutto ciò, allora, ci porta a pensare che eros si muova sul piano della “complicità”, di ciò che Jean-Luc Nancy ha chiamato “connivence”, la connivenza. La complicità è fatta di parole dette e non dette, di mezzi segreti, di intese. Così è quando è presente eros; tanto più sarà certa la presenza del demone di Eros, quanto più, da parte dei “soggetti” in relazione, vi sarà la capacità di sapere giocare al nascondimento, agli accenni, ai detti e non detti del corpo…. Eros, è un demone giovane, certamente! Ma non di anagrafe.
Della giovinezza, esso conserva la “virtù”, la capacità di accogliere il vigore dei sensi. Ma se è, sempre, giovane, Eros a quale età appartiene? Ipotizziamo; non ha età. Esso è certamente vivo fino a che è attivo il corpo. Finché c’è “anima”! Scriviamo ciò sulla scorta della lettura del “De Anima” di Aristotele, nella cui prima parte si attribuisce ad “anima” il movimento. Abbiamo ben visto, in queste pagine, come abbiamo, noi, attribuito ad eros la caratteristica del movimento! Si può ben dire, allora che non c’è eros senza anima, senza respiro, senza “commozione”. Eros è un demone eminentemente umano, un demone che ama la relazione. Pertanto formuliamo, a questo punto un’esclusione; non è manifestazione di eros, tutta quella che ha per oggetto la gelida violenza- eros è calore-; quella che ha per oggetto il godimento nella sofferenza dell’altro (contrariamente alla modernità, allora, noi escludiamo che Eros possa essere associato alle pratiche sado-masochistiche; certamente c’è del piacere, ma non è erotismo. E scriviamo ciò non perché si sia bacchettoni o moralisti, ma seguendo quella che è stata la logica sviluppata in queste pagine. La pratica della sofferenza e del godimento ad essa annesso riguarda il tema del fascino del male, che la modernità ha rapportato all’eros, ma che, secondo noi, invece ha un’altra collocazione). Così, scriviamo anche che, la relazione tra “eros” e “thanatos”, tra eros e morte, va anche essa ridiscussa.
Che vi sia una relazione sarà da valutare, ma che la morte sia il compimento di eros, questo è possibile contestarlo. Sappiamo di scrivere affermazioni che il pensiero moderno nelle sue varie manifestazioni, contesterà con forza. Ma la nostra non è una provocazione; si tratta di un invito a ripensare tutto il discorso intorno al demone di Eros senza pregiudizi o tesi ormai consolidate. Per esempio, si può ripartire da quanto scrive Platone, Symp. 186e-187°, quando sostiene che la “iatrìa”, ovvero la cura della sofferenza – e non la pratica del dolore – è governata da Eros (e non si riferisce esclusivamente alla psicoanalisi, che ancora non è praticamente arrivata), ma lo è pure la “ginnastica” e l’agricoltura, e la musica. Affermare che l’agricoltura vede la presenza di eros, certamente colloca esso su di un piano da riprendere: eros è presente, qui, quando i sensi sanno cogliere l’eros della terra…. Concludiamo con un accenno alle nuove tecnologia; esse stanno modificando la nostra percezione dello stare al mondo; certamente, esse modificano anche la presenza del demone di Eros. Se cambia la presenza del demone di eros, cambia anche la nostra.
Questo cambiamento rimanda ad un’altra “umanità”. Ad un’altra erotica? Chissà!
Aggiunta: Roland Barthes, nella Camera chiara, Einaudi, Torino, 1980, pg.58 sgg, scrive, in riferimento alla sua riflessione sull’immagine, sulla fotografia: “ La presenza (la dinamica) di questo campo cieco [che è reperibile in ogni immagine e da lui chiamato “punctum”] è, credo, ciò che distingue la foto erotica dalla foto pornografica. La pornografia rappresenta di solito il sesso, ne fa un oggetto immobile [corsivo nostro] (un feticcio), incensato come un dio che non esce dalla sua nicchia; per me, nell’immagine pornografica non vi è punctum, tutt’al più essa mi diverte (e ancora: la noia arriva presto [tutto ciò che abbiamo scritto esclude la presenza della noia dove è presente il demone di eros]).
La foto erotica, al contrario, (è la sua condizione stessa), non fa del sesso un oggetto centrale; essa può benissimo non farlo vedere;[corsivo nostro] essa trascina lo spettatore fuori dalla sua cornice, ed è appunto per questo che io animo la foto e che essa a sua volta mi anima. Il punctum è quindi una specie di sottile fuori-campo, come se l’immagine proiettasse il desiderio al di là di ciò che essa dà a vedere: non solo verso il “resto” della nudità, non solo verso il fantasma di una pratica, ma anche verso l’eccellenza assoluta di un essere, anima e corpo confusi insieme”.
- VIA
- Roberto Borghesi