Editoriale
L’eterna illusione di un Popolo senza “memoria”
“…il 18 maggio 1903, durante uno spaventoso temporale sull’Atlantico, nella stiva di terza classe del Germania, stipata di immigranti terrorizzati, che recitavano preghiere o, in preda a conati di vomito. Solo la mamma ebbe il coraggio di sfidare vento e spruzzi, aggrappandosi alle corde del ponte per attraversare la bave e scendere i ripidi scalini di ferro, portando da mangiare a Papà e a quattro bambini che soffrivano per il mal di mare.”
Chi racconta le peripezie del viaggio intrapreso da tutta la sua famiglia per andare in America e nel giorno del suo sesto compleanno, è Frank Capra. Regista italo-americano e del suo libro autobiografico, a tratti toccante, coinvolgente e che ti strappa un nodo alla gola, una pagina si e una pagina no, “Il titolo sopra il nome”, letto in due ore e poi, riletto, giusto per avere la sicurezza di non essermi persa qualche perla di saggezza, della piacevole lettura.
Ero alla ricerca della sceneggiatura “L’eterna Illusione” film del 1938 magistralmente diretto da Frank Capra appunto, tratto da una commedia vincitrice del Premio Pulitzer e scritta da George S. Kaufman e Moss Hart e scoperta per caso da Capra, mentre svolgeva una delle tante occupazioni negli Studi della Columbia per questo o quel regista, artista. Se c’era da imparare qualcosa, Capra, si proponeva e, grazie al suo fine intuito, “vedeva” qualcosa in più degli altri. La sua strada nel cinema si disegnò da sola, naturalmente. Era sempre l’uomo giusto nel posto giusto e certamente, dotato di una buona dose di fortuna soprattutto in campo cinematografico, trasformava le sue parole in un prodotto che trasudava di felicità e restituiva oro per Columbia.
Da emigrante o migrante, passò da una vita dura e fatta di rinunce, ad una vita altrettanto dura ma dove le possibilità c’era per tutti. Imparò a farsi strada con lavori tra i più disparati, riuscendo a realizzare ciò che sin da piccolo si era prefissato, studiare: università, laurea. La ottenne. Lo chiamavano “l’Ingegnere dietro la macchina da presa”, Frank Russell Capra, nato Francesco Rosario Capra a Bisacquino, in Sicilia, il 18 maggio 1987, raggiunse il sogno fatto in uino, la sua città natale, mentre qualcun altro leggeva quella lettera che nessuno della sua famiglia era capace di leggere ed era di suo fratello. Il piccolo Frank si disse che non sarebbe più successo, che doveva raggiungere una buona istruzione e cancellare tutta quell’ignoranza e miseria che non li faceva andare avanti, progredire economicamente, nonostante il duro lavoro del padre e della madre. A suon di sacrifici, non gli regalò niente nessuno ma ci riuscì. Regista, produttore e sceneggiatore cinematografico di prima grandezza, italiano e americano naturalizzato. Autore di opere caratterizzate da sano ottimismo, che dovevano divertire il grande pubblico, ma che riuscivano anche a commuovere con la stessa semplicità e forza propositiva con cui strappavano la risata, considerava il lavoro che realizzava a Hollywood per la Columbia, un prodotto pensato e realizzato per la gente, ritenendo che fosse proprio quello che voleva. Lui era la “gente”, voleva riconoscersi nei personaggi e nelle loro vicende. A suo modo evidenziava una forte propensione populista, inoltre, credeva nel “Sogno Americano” e lo sollecitava nella gente con una naturalezza disarmante. Lui stesso esempio perfetto di “self made man”: un piccolo emigrante impaurito, che come il burattino di Collodi, insieme al Babbo nella pancia della balena, affrontò i pericoli del nuovo mondo e finì col diventare una celebrità acclamata a livello mondiale, 3 Oscar e riconoscimenti a non finire. Si immerse completamente nello “stile di vita all’Americana” American way of life, che esalta i forti valori patriottici, il concetto di Patria e di Nazione ma con riferimento a basi che poggiano su principi di Vita, di Libertà e della ricerca della Felicità, riuscendo a catturare il polso dei tempi, a dare preziosità all’immaginario collettivo, al quale sentiva di appartenere. Ogni suo film o sceneggiatura, pare mirino a svegliare il sonno che ci sovrasta e porta a vedere con occhi disincantati una realtà che per lui era tutta da scoprire e ricca di possibilità, come lo era stato per lui.
In L’eterna illusione, titolo originale del film “You Can’t Take It With You” (Non te li puoi portare dietro) film del 1939 e che gli valse il suo terzo Oscar, è la creatività che si esprime in tutte le sue forme e personaggi. Una famiglia numerosa e particolarmente versata per l’arte e tutto ciò che può essere di aiuto al mondo dell’intrattenimento che si permette di fare ciò che vuole: scrivere cantare danzare realizzare fuochi di artificio ed ancora, collezionare francobolli o, come la nipote del capostipite di questa allegra famiglia, svolgere il lavoro di segretaria tra i più normali e, in quella “normalità”, inciampa nel giovane figlio del cinico banchiere Anthony P. Kirby, il capo di Alice Sycamore. Tony frastornato dalla ricerca della felicità dell’eccentrica famiglia di lei, dal decidere di colerla anche lui ad ogni costo. Figlio e padre Kirby, entrano in conflitto, lasciare il lavoro in banca una leggerezza. Ma quando il burbero padre conoscerà la famiglia di Alice, le cose non saranno più viste in altro modo… Frank Capra, cercava sceneggiature in questo stile, le scriveva lui stesso. Aveva imparato ogni ruolo professionale nella grande macchina del cinema americano, poteva fare ciò che voleva, proprio perché ogni cosa che faceva, piaceva e rendeva alla Columbia.
Consigliare il libro “Il titolo sopra il nome”, lasciando a voi la possibilità di capire perché scelsero proprio questo titolo e non il solito “la vita di…” etc, è d0bbligo. Il titolo qui, non ha solo la funzione di raccogliere proseliti al trono di un re ma ha una funzione specifica, non poteva che essere questo. Il libro invita alla riflessione, soprattutto oggi, che viviamo realtà difficili alle porte di casa nostra, nei porti, dove si affacciano navi stipate di migranti, famiglie intere e bambini, impauriti e affamati, stremati dal buio e il puzzo della stiva che li ha ospita nei lunghi viaggi della speranza……
“Tredici giorni di puzza e di squallore nella stiva; altri due giorni di panico e pandemonio a Ellis Island; poi, ancora otto giorni di privazioni, paralizzati in una carrozza sovraffollata, abbracciati l’un l’altro per cercare di dormire, mangiando solo…” tratto da “Il nome sopra il titolo di Frank Capra”
Dimenticando i sogni di chi vive la quotidianità, la politica ha perso credibilità, permettendo a dilettanti allo sbaraglio di farsi le ossa in quei Palazzi inavvicinabili da troppo temo, dalle richieste della gente che ha poi punito tutti, anche chi ha vinto. Come faceva Frank Capra, che prima di realizzare un suo film, guardava proprio in direzione della gente, per comprendere cosa in quel momento desiderasse. Oggi anche i cineasti si muovono per incasinare la gente, troppi omicidi, troppa cattiveria espressa dallo schermo e troppi furbi ovunque, in televisione, al cinema, in politica…
E’ sempre la stessa storia, quando servono voti, dimentichiamo con chi abbiamo a che fare. Siamo italiani “senza memoria”.
1939 Miglior film alla Columbia Pictures
Migliore regia a Frank Capra
Nomination Miglior attrice non protagonista a Spring Byington
Nomination Migliore sceneggiatura non originale a Robert Riskin
Nomination Migliore fotografia a Joseph Walker
Nomination Miglior montaggio a Gene Havlick
Nomination Miglior sonoro a John P. Livadary
Jean Arthur: Alice Sycamore
Lionel Barrymore: Martin Vanderhof
James Stewart: Tony Kirby
Edward Arnold: Anthony P. Kirby
Mischa Auer: Boris Kolenkhov
Ann Miller: Essie Carmichael
Spring Byington: Penny Sycamore
Samuel S. Hinds: Paul Sycamore