Vignettopoli
Rigurgiti femministi a Londra e il burka per l’Anima
Londra. Chiedo scusa a tutti i lettori, pi preparati di me sul Corano, per le citazioni qui riportate che sono il frutto di una lunga ricerca in Internet ed eventuali errori sono da attribuirsi, alle varie fonti da me consultate. Spero si tratti solo di imprecisioni formali, a cui non posso permettere di allontanarmi dalla ragione che mi spinge a scrivere sull’argomento.
Come tutti i Libri Sacri, anche il Corano studiato da secoli, difatti uno dei frutti delle sue interpretazioni, pi o meno rigide, l’uso nelle comunit di credo musulmano dello “Chador” (velo che ricopre il capo) e del “Burka” ( un unico scampolo di stoffa in cui si avvolgono le donne di credo islamico). Il burka, soprattutto, divenuto argomento di attualit nella civilt occidentale che, nella convinzione di essere pi evoluta delle altre, e nell’opinabile tentativo di espansione al mondo intero, ha messo al bando questo tipo di abbigliamento, riconducendolo, erroneamente, in simbolo di mera sottomissione della donna all’uomo. Ma sarà veramente così?
Siamo entrati nella cosiddetta epoca moderna, della globalizzazione, e sta diventando sempre pi all’ordine del giorno vedere passeggiare in grandi – e piccoli – centri urbani queste donne coperte in viso dal velo, oppure, fasciate nel burka. Guardandole camminare non mi danno l’impressione di essere povere donne schiavizzate dai mariti talebani, bensì, emancipate donne europee di fede musulmana, oppure, in altri casi, mogli di ricchi emirati giunte, con prole e servit๠al seguito, nelle nostre grandi città con un unico scopo: lo shopping sfrenato nelle nostre italianissime boutique modaiole. Anzi, per ironia della sorte, il burka d loro, persino il pretesto, di potersi servire nelle migliori gioiellerie, che noi occidentali stacanoviste non abbiamo il piacere di frequentare, se non a distanza di sicurezza, perché Valentino o Dolce & Gabbana, non hanno ancora inserito il tanto contestato “scampolo di stoffa” nelle loro collezioni. Spesso, infatti, viene commesso l’errore di considerare il burka una specie di costrizione, sottovalutando il fatto che a queste donne, forse, vada bene così.
I giornali e i telegiornali ci riempiono la mente convincendoci della scorretta definizione di Jhiad che non significa Guerra Santa, bensì, letteralmente “sforzo”: si tratta dell’impegno di seguire Allah sulla via che Lui stesso insegna. Analogamente a noi, cristiani-cattolici che dovremmo percorre un cammino tutto spirituale verso Dio. Dogma, oggi, rimpiazzato dall’impegno, tipicamente occidentale, che, quotidianamente, mettiamo nell’unico percorso concepibile: quello verso noi stessi. L’essere umano “moderno” contrariamente agli arabi musulmani, troppo impegnato su di s da lasciare posto a Dio e ai Suoi insegnamenti e non può permettersi, pur sentendone l’esigenza, di credere in qualche cosa d’altro. Ecco uno dei tanti perché delle incomprensioni e delle deformazioni dei principi fondamentali delle religioni di altre comunità diverse dalla nostra che portano, come diretta conseguenza quello che sta accadendo: minimizzare, snaturare e condannare un abito femminile che e rimarrà , una formalità religiosa. E non dimentichiamo che la religione una scelta e, quindi, porta con s la conseguenza di una libertà personale di tutte quelle donne che vogliono indossare il velo piuttosto che il burka, come manifestazione del proprio credo. L’abito tanto condannato per la sua “falsa” costrizione diviene, spesse volte, il simbolo della libertà di scelta di queste donne. A noi occidentali sembrerà una cosa strana perché abbiamo allontanato l’attenzione da tutto ci che regola religiosa e, perciò, come estensione naturale di un nostro pensiero nemmeno possiamo accettare che altri essere umani, che vivono nella nostra era, possano ancora farlo.
La maggior parte delle donne musulmane sono convinte di indossare il burka e, la dimostrazione ci viene, anche, tra le altre, dalle ultime manifestazioni di Londra, da cui emerge proprio quel credo religioso che lo fa indossare alle donne islamiche, analogamente al velo delle nostre suore. Non amo parlare di problemi come quelli relativi all’uguaglianza delle donne agli uomini, piuttosto che alle pari opportunità . Sono convinta che tali questioni non dovrebbero essere prese in considerazione perché nemmeno esistono. Solo il fatto di parlarne o di ascoltare chi ne parla con enfasi e impeto significa riconoscere la donna inferiore all’uomo. La donna, in questo modo, come se fosse considerata un’appartenente a una categoria a parte che deve inevitabilmente lottare per essere qualcuno. Ma lottare contro chi? Le femministe pi convinte risponderebbero “contro l’uomo”, soggetto da combattere e premio della raggiunta vittoria la sua castrazione. Infatti, anche, la lotta al burka o al velo non altro che l’ennesima rivendicazione femminista sul sesso forte.
Se ci pensiamo, anche noi donne dell’occidente con (falsa) presunzione di essere pi evolute rispetto a quelle del resto del mondo (musulmane comprese), per il solo fatto di avere la macchina, perché siamo libere di abortire senza nemmeno interpellare il nostro uomo-compagno-marito (!), perché intraprendiamo carriere sempre pi maschili, tutto sommato “indossiamo il burka” e, oltretutto un “vestito” che ci costringe nel nostro profondo. Non si vede ma c’ ed pi potente del pezzo di stoffa che si continua a bandire. Condanniamo gli uomini. Li mettiamo alla forca. Per, alla fine, li vogliamo. L’innamoramento un processo irrazionale, che segue le regole del cuore e del sentimento, piuttosto che della logica. Per sua stessa definizione, spesso porta le donne ad innamorarsi di uomini sbagliati instaurando un rapporto umiliante e distruttivo, che viene, comunque accettato. In quel momento stiamo vestendo “la nostra anima del burka” non per scelta, o per convinzioni religiose, ma per qualcosa di ben pi grave: l’annullamento, comunque consapevole, di noi stesse nel tentativo, grottesco, di forgiare il nostro uomo secondo nostre imprevedibili necessità , oppure di “usarlo” come strumento per colmare chissà quale nostro vuoto o mancanza.
Cari Lettori, dura ammetterlo, pero quello che succede alle moderne signore occidentali. Il “burka della nostra anima” lo indossiamo, dall’età dell’adolescenza. Cerchiamo, sin da giovani, risposte di cui non siamo in grado nemmeno di formulare la domanda: complichiamo le situazioni, anche le pi semplici, all’unico e solo scopo, pi o meno inconscio, di sottometterci al nostro uomo: lo combattiamo, lo snaturiamo, lo castriamo ma poi, lo vogliamo a tutti i costi e il fine giustifica i mezzi. Cerchiamo l’uomo romantico. Per non deve esserlo troppo, altrimenti chissà quale “piano” sta tramando contro di noi. Vorremmo tutte l’uomo “macho”. Per lo deve essere senza esagerare, altrimenti rischierebbe di turbare la nostra sensibilità femminile. Desideriamo l’uomo-cavaliere. Ma anche in questo caso, moderata cavalleria e non troppe attenzioni, rischierebbero, di farci apparire il nostro compagno troppo antiquato e, alla lunga, inadatto.
Tutte noi ambiamo all’uomo bello. Anche in questo caso, con moderazione. La troppa bellezza del nostro uomo diverrebbe fonte di gelosia e paranoia che logorerebbe il rapporto. Vogliamo la nostra libertà (ci dicono che ce la siamo conquistata!) ma concessa nella giusta misura, secondo nostri canoni nemmeno tanto determinati, altrimenti sarebbe interpretata come menefreghismo del nostro partner. Insomma cerchiamo, desideriamo, vogliamo e peggio, ci conquistiamo, quello che nemmeno noi donne sappiamo, nelle tempistiche che noi pensiamo di decidere di volta in volta, secondo il momento in cui viviamo e le modalità dettate dal solo nostro stato d’animo del momento. Praticamente vogliamo l’impossibile. Ma il prezzo per raggiungere questo turbillion di desideri alto e nemmeno ci rendiamo conto che lo scotto da pagare la nostra felicità che allontaniamo da noi stesse, convincendoci che sia per colpe dell’uomo. Tra l’altro presunte colpe, perchè quando sono reali le giustifichiamo! Insomma indossiamo proprio quel burka cui diamo quel significato che tanto condanniamo e nemmeno crediamo in Allah. Quante donne si trovano a psicoanalizzare se stesse per capire il proprio compagno? Quante volte ci siamo fatte la fatidica domanda “ma dove avrà sbagliato?”. Storie durate anni interi che si vedono sfumare sotto i nostri occhi e che lasciano sensi di colpa, solitudine e rabbia. Ma tutto questo mondo di sensazioni nulla se raffrontato alla nostra pi o meno consapevole volontà di sottometterci al nostro uomo. Per riaverlo saremmo disposte a tutto ivi compreso annullarci. Questo non peggio del burka? Ma che cosa ci spinge ad innamorarci di un partner che ci umilia, che non ci rispetta o magari ci tradisce?
Quante donne si fanno umiliare quotidianamente dal proprio compagno per la sua gelosia, per la sua ossessività , per il suo carattere. Eppure lo accettano, anzi peggio, si auto analizzano e trovano in loro stesse le colpe per giustificare il comportamento del partner. Se non le trovano piuttosto che ammettere di avere sbagliato nel considerare l’uomo con cui condividere la vita se le inventano. Banalmente, quante donne, sin da bambine sognano il matrimonio, in abito bianco con schiere di damigelle e paggetti, il tutto nel contesto di festeggiamenti che farebbero invidia allo sceicco del Brunei oltre, che portare al collasso le finanze di casa dei poveri genitori! Eppure tante di queste ci rinunciano perché il proprio partner finge accontentarsi (e arriva ad imporlo) del monolocale, trasformato come fosse un attico dalla definizione “il nostro nido d’amore”, parole magiche per la donna che rifiuta l’idea che il proprio “romantico” compagno lo stia facendo per evitare tutto ci che un uomo per sua stessa natura aborrisce. una banalità , ma alla fine si accetta, perché diviene la condizione per trattenere a s il proprio uomo. Quante di noi (almeno in linea di principio tutte) condannano le relazioni extra-coniugali come “punto di non ritorno” in un rapporto. Ma, quando succede, nella maggioranza dei casi perdonano, anzi peggio, se ne fanno una colpa, come se avessero portato loro in qualche modo il proprio compagno all’adulterio. Quante donne devono alzarsi la mattina, preparare la colazione, correre in ufficio. Trascorrervi otto ore già con il pensiero di ritornare a casa. Ritorno al “nido d’amore” che implica: stirare, lavare, pulire, riassettare, cucinare, mentre il povero partner le osserva spaparanzato sul divano perché stanco del lavoro. Quando poi, non ci sono i figli, condizione in cui una catena di montaggio diviene un nulla rispetto a quello che può fare una moglie-madre da sola. Quante donne debbono rinunciare a un proprio modo di abbigliarsi per evitare critiche del compagno fondate su una presunta offesa alla sua persona. Tutto ci non indossare il burka? Proprio quel burka che tanto condanniamo, senza vestirlo ma vivendolo ogni giorno della nostra vita?
Allora, care donne, me compresa, non scandalizziamoci troppo di ci che un semplice abito, forte della sua tradizione, quando noi lo facciamo diventare un nostro “modus vivendi”. Il problema, credo, sia solo uno: amiamo troppo i nostri uomini e loro lo sanno! Il burka o il velo sono veramente così tremendi? così atroce vestirli? Li condanniamo, mostriamo solidarietà a queste donne arabe, ma alla fine ci arrabbiamo solo con noi stesse, perché il burka per le donne verso cui proviamo sentimenti contrastanti, un uso tradizionale religioso, ma per noi banditrici, solo un simbolo da combattere perchè rappresenta quello che noi permettiamo ai nostri uomini e che da madri (pur sempre donne) insegniamo ai nostri figli. Evviva lo stereotipo della “donna-oca” che non indosserà mai il burka al di fuori del credo religioso. L’unica donna che non arriverà mai a sottomettersi al proprio compagno, ma non per incapacità naturale di intendere e volere ma per accettazione e a priori – magari inconsapevole – dell’uomo con i suoi pregi e i suoi difetti; con i suoi vizi e le sue virtà¹. Paradossalmente ottenendo, con estrema naturalezza e semplicità , tutto ci che le donne chiedono ai propri partner senza nemmeno troppa fatica e con tempi rapidissimi. Quanti incalliti scapoli, milionari in carriera si sono rivelati “mariti e amanti ideali” della “moglie-scema”? Smettiamola di condannare quello che vivono le altre donne, secondo la nostra interpretazione di un tipo di abbigliamento. Cominciamo a condannare noi stesse e cerchiamo prima ancora di capire l’uomo tanto voluto e desiderato, chi veramente siamo noi: “Amiamoci troppo”. Solo così sapremo amare in modo giusto i nostri tanto desiderati uomini. Solo così ci libereremo del nostro burka e accetteremo quello arabo così come concepito e indossato, nel suo valore religioso e come simbolo di libertà di coloro che, per scelta, lo indossano.
Corano – Sura 24 Versetto 31
” Le donne si coprano con i veli del capo entrambi i seni, non facciano mostra di ornamenti femminili se non ai mariti” (Corano – Sura 33 Versetto 59)” o Profeta da alle tue spose e alle tue figlie e alle donne dei credenti che si ricoprano dei loro mantelli; essi permetteranno di distinguerle dalle altre donne e di far si, che non vengano offese”
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- Silvia Vimercati
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